Erdogan questa volta rischia il ‘trono’. Paese spaccato: decisivo il voto di giovani e curdi

Questa volta il ‘sultano’ rischia di perdere il regno. Una versione riveduta e corretta della ‘Sublime Porta’ ottomana, dove Oriente asiatico e Occidente europeo si sposano, in un tripudio di colori, odori, sapori, ma soprattutto di contraddizioni. Recep Tayyip Erdogan, Presidente o, meglio, padre-padrone della Turchia contemporanea: un ‘democratico’ rigorosamente di facciata, che sa diventare despota per garantirsi la sopravvivenza politica. Tutto il resto viene dopo, a cominciare dai problemi reali di 75 milioni di turchi. A partire dalla tragedia vergogna nel terremoto, alla catastrofe economica che incombe sul Paese.
L’Europa suo retrobottega, atlantismo di convenienza.

Rischio vero dopo vent’anni di potere

Il 14 maggio si vota, Legislative e Presidenziali, ed Erdogan cerca un terzo mandato popolare. Le elezioni sono ‘vere’, nel senso che non sono truccate preventivamente e che potrebbe anche essere defenestrato. Diciamo, piuttosto, che il suo autoritarismo, il suo giocare sporco e con poco rispetto delle regole, si è espresso, semplicemente, in una ‘campagna elettorale’ lunga tre anni (a forse venti, anno dopo anno).
Finora, l’Europa gli è servita da retrobottega. I suoi occhi, partendo dal Mediterraneo orientale, hanno guardato all’Asia centrale, fino al Turkmenistan. E anche oltre.
Il suo atlantismo? Di convenienza. Quindi, tutto sommato, di questi tempi, visti i chiari di luna, abbastanza interessato. Perché Russia e Cina gli hanno garantito sponde e business a prezzi da saldo.
Ma è grazie all’Occidente che è riuscito a sbarcare il lunario e, quindi, ora si barcamena.

‘Erdoeconomia’ sull’orlo del baratro

L’economia. Qui, per Ankara, cominciano i dolori. Erdogan ha ‘consigliato’ alla sua Banca centrale una strategia monetaria d’assalto, all’ultimo sangue: tassi bassi, crescita a ogni costo e inflazione da neurodeliri, che ha toccato anche l’84 per cento, prima di regredire fino al 50%. Risultato: gli altri sono in recessione, mentre la Turchia galleggia. Per ora. Ma il rischio che tutto il sistema-Paese faccia un botto è dietro l’angolo. L’economia è cresciuta del 3,5%, ma l’inflazione è esplosa, rispetto a meno del 20% di un anno fa. Il Fondo monetario internazionale ha allora dettato regole di condotta (aumento dei tassi d’interesse) che la Banca centrale turca ha ignorato, addirittura rincarando l’azzardo e tagliando ancora il costo del denaro.

Alla fine dell’anno, il tasso ufficiale di riferimento è sceso al 9% dal 16% che era. La lira si è deprezzata del 36% e gli spread sui credit default swap turchi, che assicurano gli investitori contro il rischio di insolvenza sovrana, sono stati scambiati sopra i 500 punti base.

Economia religiosa e terremoto

Erdogan fonde convinzioni religiose (vede i tassi come una forma di usura) a un’istintiva diffidenza verso le istituzioni finanziarie internazionali. Inoltre, sondaggi alla mano, si è preparato alle elezioni cercando di acquisire un consenso ‘tutto e subito’. Cosa che ha implicato l’obbligo di evitare politiche di austerità monetaria. Comunque, i successi in politica estera sono stati vanificati proprio dai fallimenti in economia. E il terremoto di febbraio è stato il colpo di grazia. A poco più di un mese di distanza dal voto, i sondaggi ora indicano un Paese profondamente spaccato in due, con la coalizione delle opposizioni addirittura avanti di qualche punto.

‘Ak parti’, potere e clientele

Secondo ‘MetroPoll’, Erdogan (AKP) attualmente raccoglie il 42%, avendo perso circa il 3,9% rispetto allo scorso gennaio. Kemal Kilicdaroglu, del Partito popolare repubblicano (CHP) e leader dell’Alleanza nazionale, viene dato al 44,6%. Ma questa è solo una parte (la prima) del discorso, perché se nessuno dei candidati raggiunge almeno il 50% +1 dei voti, allora si va al ballottaggio. E qui gli scenari diventano ancora più confusi, perché i sondaggi vanno reinterpretati e perché gli scarti minimi non consentono previsioni affidabili.

I due sindaci contro

L’opposizione, però, può contare anche su due potenti figure: il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, e quello di Ankara, Mansur Yavas. Erdogan, come si diceva, ha pagato la scarsa efficienza del governo turco nel reagire al devastante sisma di febbraio. L’opinione pubblica ha giudicato molto negativamente la capacità delle autorità di organizzare i soccorsi. Quest’evento, unito alla grave crisi economica, potrebbe veramente rappresentare la carta vincente per Kilicdaroglu. Per questo, il Presidente uscente sta tentando in tutti i modi di attrarre nel suo campo ‘forze fresche’ e indecisi. In questo senso, ha rivolto un appello a ‘Hiza Par’, il partito islamista curdo, molto vicino ai libanesi di Hezbollah. Questo gruppo ha condotto una guerra sanguinosa, negli anni ’90, contro il PKK, la principale milizia curda. Naturalmente, la prospettiva del ballottaggio rende ancora più difficile azzardare pronostici.

Washington Institute

Sonar Cagaptay, direttore del Programma di ricerca sulla Turchia al Washington Institute, sostiene che gli altri due candidati alla Presidenza, anche se dovessero raccogliere pochi punti in prima battuta, saranno determinanti. Muharrem Ince e Sinan Ogan sottrarranno voti all’opposizione e, infine, bisognerà vedere che indicazione di preferenza daranno in un eventuale ballottaggio. Comunque, arrivano notizie in chiaro-scuro per Erdogan da altri istituti di rilevazione sondaggistica. TAG Research accredita Kilicdaroglu del 51,8% (Erdogan, 42,6%); mentre Optimar Research, invece, rimpiazza primo l’attuale Presidente (47,4%) e assegna allo sfidante un 45,3%.

Social Democracy Foundation

Una ricerca sui flussi elettorali, pubblicata dalla Social Democracy Foundation, indica che buona parte dei sostenitori dell’Alleanza nazionale di opposizione è formata da giovani e da donne. Questo è spiegato anche da un’analisi di Ekdal Akaltun, di Bupar Research and Consultancy, il quale sostiene che sei milioni di giovani voteranno per la prima volta. E che ben 13 milioni saranno elettori con meno di 25 anni di età. Ebbene, 8 su 10 di questi giovani non sceglieranno l’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan. “È la generazione di Gezi Park (l’ex parco di piazza Taksim su cui è stata costruita una nuova gigantesca e contestatissima moschea n.d.r.) che cresce”, ha detto Akaltun e che, per la prima volta, vede aprirsi un’ampia finestra per il cambiamento.

Progetto Democrazia nel Medio Oriente

Ma il vero colpo mortale alle aspettative di Erdogan, quello che suona come un epitaffio, l’ha decretato Merve Tshiroglu, del ‘Pomed’, il Progetto per la Democrazia nel Medio Oriente. L’esperto del think-tank Usa ha spiegato perché il più grande blocco filo-curdo non ha presentato un suo candidato alle Presidenziali. La sua vera vittoria, ha detto, sarà vedere perdere Erdogan. 

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