
Portaerei Liaoning, nave ex sovietica, passata poi all’Ucraina e acquistata dalla Cina nel 1998
Naturalmente, i servizi di Intelligence di mezzo mondo sapevano già tutto, ma il fatto che la notizia sia stata diffusa dagli alti gradi dell’establishment cinese, ha un suo preciso significato. Secondo gli analisti, è un messaggio inequivocabile, sulle ambizioni strategiche di Pechino. Che non si fermano per niente al Mar cinese meridionale e a Taiwan. In effetti, alle prime due portaerei di epoca o ispirazione ex sovietica, si era aggiunta la terza, la nuovissima Fujian, che sta ancora facendo le prove in mare. L’immediata realizzazione di un’altra ‘air carrier’, dunque, dimostra l’esistenza di un programma di riarmo accelerato, che interessa tutte le forze armate cinesi e, in particolar modo, la marina.
Un piano che ha avuto un impulso notevole a partire dal 2016, con l’entrata in servizio (dopo un lungo completamento) della prima portaerei, la Liaoning, nave ex sovietica, passata poi all’Ucraina e finalmente acquistata dalla Cina nel 1998. Nel 2019 è entrata in servizio anche la seconda unità (Shandong), una nave che rappresenta un aggiornamento del progetto usato per la Liaoning. Malcom Davis, analista all’Australian Strategic Policy Institute, sostiene che probabilmente la leadership cinese guarda lontano. Non solo allo Stretto di Taiwan. Ma vorrebbe conquistare libertà d’azione e potere contrattuale, anche oltre la «seconda barriera delle isole».
Davis definisce ‘prima barriera’ quella che va dalle Curili a Okinawa, scende fino all’arcipelago filippino e sfiora la penisola malese e Taiwan. La seconda fascia insulare, invece, si estende dal Giappone a Guam, fino alla Micronesia, abbracciando un’ampia fetta dell’Oceano Pacifico. Nel primo caso, la strategia cinese sarebbe maggiormente orientata verso l’Oceano Indiano. Nel secondo, invece, mirando alla vastità del Pacifico e alle sue risorse, naturali e commerciali, entrerebbe ovviamente in rotta di collisione con la gigantesca sfera d’influenza degli Stati Uniti. Un fattore non trascurabile, che già li aveva trascinati nella 2ª guerra mondiale contro il Giappone.
Certo, parlare di una corsa agli armamenti navali, sullo stile degli anni ‘30 del secolo scorso, non pare avere molto senso. Considerato che gli Stati Uniti hanno già in linea ben 11 superportaerei e che hanno calendarizzato la costruzione di altri 4 colossi della classe ‘Gerald Ford’, ognuno da 100 mila tonnellate, sembra impossibile per Pechino chiudere questo divario. Sempre Davis, fa notare che la potenza navale americana deve essere necessariamente spalmata su tutto il pianeta. Mentre quella cinese può concentrarsi in aree circoscritte dell’Indo-Pacifico. E questo potrebbe essere uno squilibrio tattico che giustifica il piano di riarmo di Pechino.
Altri esperti pensano che le decisioni cinesi non siano prese sempre e comunque in chiave anti-americana. Nella scelta di riarmarsi in maniera così minacciosa, ci può essere anche un messaggio indirizzato alle medie e piccole potenze regionali del Sud-est asiatico. Ed è ciò che pensa Joshua Bernard Espena, vicepresidente del think-tank per la Cooperazione internazionale di Manila. «Pechino potrebbe cercare di scoraggiare i Paesi che ritiene responsabili dell’escalation delle tensioni nel Mar Cinese meridionale e nello Stretto di Taiwan. Pertanto, nazioni come le Filippine devono imparare a dissuadere i cinesi dal compiere atti provocatori».
Come scrive il South China morning Post di Hong Kong, «oltre alle sue portaerei, negli ultimi anni, Pechino ha varato caccia lanciamissili e navi d’assalto anfibie, con le capacità di operare a migliaia di chilometri dalle sue acque costiere.
La scorsa settimana, l’ammiraglio della Marina americana John Aquilino ha affermato che le forze armate cinesi si stanno espandendo a un ritmo mai visto. Il capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, ha detto inoltre che la Cina continentale è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di invadere Taiwan, entro il 2027».