Cronache ferme al 29 maggio, data delle rivolte popolari serbe che hanno causato il ferimento di alcuni militari della KFOR. Da allora le autorità kosovare rifiutano di dare applicazione, per la propria parte, agli accordi per la ‘normalizzazione delle relazioni’ del 2013 e del 2023, negando la formazione della «Unione dei Comuni Serbi del Kosovo», punto negoziale chiave per Belgrado. Inviti alla distensione da americani ed europei –parole-, neppure presi in considerazione. E alla richiesta di organizzare nuove elezioni per i sindaci dei comuni a maggioranza serba e di ritirare le forze speciali di polizia da quegli stessi comuni, Kurti ha risposto con un’ondata di arresti di cittadini serbi e poi con il blocco all’ingresso delle merci serbe nel paese.
Alcuni arresti condotti fuori dalla legalità e con metodi violenti. Negozi e farmacie sono rimasti senza alcuni beni e soprattutto senza farmaci. Gli episodi di violenza ‘spontanei’ di parte albanese. Ordigni esplosivi sulle abitazioni private di alcuni cittadini serbi che svolgono incarichi pubblici. Con la politica ad incendiare: «I rappresentanti della Lista Serba pagheranno e soffriranno per gli errori commessi», promette Kurti con fare diplomatico. Tre arresti per presunti crimini di guerra di 30 anni stigmatizzati dallo stesso ambasciatore americano a Belgrado.
Un crescente fastidio per le intemperanze di Albin Kurti da parte della diplomazia americana ed europea, ma senza azioni capaci di influenzarne il comportamento, dopo aver creato politicamente il personaggio
L’indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel 2008, viola gli accordi di pace che posero fine alla guerra con la NATO e la successiva Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Anche per questo il Kosovo non è ad oggi riconosciuto come stato indipendente da 92 dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite, tra cui anche paesi dell’Unione Europea, come Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro (tutti membri NATO, tranne Cipro).
Facile rilevare che altri processi di secessione, in altre parti del mondo, sono stati accolti decisamente con meno favore. Ed ogni parallelo di guerra attuale è a vostra scelta.
Il 29 settembre il Generale Michele Ristuccia (comandante della KFOR dallo scorso ottobre) rilascia un’intervista a Repubblica. Linguaggio prudente ma chiaro: a determinare la crisi è stata soprattutto la volontà politica del governo kosovaro «che ha adottato una valutazione non coerente con le nostre aspettative». Generale inoppugnabile. Poi, voce alla Presidente del Kosovo Vjosa Osmani, che già in una intervista con la TV britannica Channel 4 News, alla domanda del giornalista «non dovreste formare l’Unione dei Comuni Serbi, avete preso questo impegno dieci anni fa», ha risposto sostanzialmente che «non è necessario poiché i serbi hanno già avuto abbastanza».
Dichiarazioni che smentiscono la buona fede di un anno di negoziati, con grande imbarazzo gli alleati americani ed europei, ma forse è Chiara Nalli dell’Antidiplomatico ad essere assieme a noi maliziosa.
Da diverso tempo il governo serbo sta chiedendo alle controparti occidentali di ordinare il ritiro delle forze di polizia kosovare dal nord del Paese, sostituendole con personale KFOR. Secondo indiscrezioni di stampa americane, la stessa richiesta era stata fatta a margine del vertice ONU di New York da almeno altri due leader politici dei Balcani occidentali, preoccupati delle azioni di destabilizzazione che la polizia di Albin Kurti compie nell’esercizio delle proprie funzioni contro le comunità serbe. Elemento ricordato anche dal Generale Ristuccia, il quale ha sottolineato come «la decisione di estendere le competenze della missione KFOR sia di natura politica», come segnala l’Antidiplomatico.
L’analisi degli effetti tattici delle scaramucce. Il ‘cui prodest’. Lo scoppio di violenti disordini non ha giovato in alcun modo, alle ragioni del governo serbo, colpito anzi ‘di sponda’ (e malizia) da sospetti ‘filo putiniano’ rispetto all’Ucraina. Ma ancora la scorsa settimana i negoziati per l’applicazione degli accordi sono stati bloccati dalla parte kosovara. E lo sostengono degli insospettabili: Gabriel Escobar (inviato speciale per i Balcani del governo americano), Peter Stano (portavoce dell’UE) e Miroslav Laják (delegato UE per il dialogo Pristina-Belgrado): tutti concordi nel ritenere Kurti responsabile per il fallimento dei negoziati e nel sollecitare un cambio di approccio.
Ma davvero la Nato o l’Unione europea non hanno strumenti ‘convincenti’ per ottenere il rispetto degli accordi e del loro arbitrato sul campo, e non solo per il tempo necessario a Pristina per ottenere aiuti molteplici e significativi?