
Sui social network qualcuno afferma che il candidato di sinistra alle presidenziali brasiliane sia deciso a chiudere le chiese se sarà eletto e una efficiente e ramificata organizzazione rilancia come fatto certo la bugia. Circolano bugie secondo le quali Luiz Inácio Lula da Silva voglia permettere agli uomini di usare i bagni delle scuole pubbliche accanto a quelli delle bambine, e qui la menzogna di venta quasi arte. Sul fronte opposto, reazione minima ma con accuse altrettanto paradossali, il presidente di destra Jair Bolsonaro abbia rilasciato dichiarazioni in cui confessa cannibalismo e pedofilia. Esagerazioni? No, lo denuncia l’attenta e non coinvolta tv araba Al Jazeera, del Qatar, rilanciata da Internazionale.
«Voci infondate, create con obiettivi politici, si stanno diffondendo sui social network della più grande democrazia dell’America Latina, facendo vacillare la politica brasiliana come accaduto per quella statunitense», e qui il riferimento trasparente è alla gestione Trump del confronto politico . L’ondata di notizie false e incontrollate ha contribuito a spingere un tribunale a varare quelle che alcuni esperti definiscono «le più severe limitazioni alla libertà di parola mai imposte nella giovane democrazia del paese». Libertà di parola o di diffamazione?
In tutto il mondo i social network pongono questo genere di rompicapo. Soprattutto nei paesi dove tecnologia e libertà di parola finiscono per entrare in conflitto. Il Brasile rappresenta una versione particolarmente pesante del problema. «Quello che sta accadendo in Brasile, su Facebook, YouTube e altre piattaforme è terribilmente simile a quanto accaduto negli Stati Uniti nel periodo delle elezioni del 2020», spiega Vicky Wyatt, responsabile di campagna dell’ong SumOfUs, con sede negli Stati Uniti. «Un singolo post magari non ha una portata così ampia, ma cumulativamente, con il passare del tempo, questo stillicidio ha conseguenze negative».
«Generalmente i canali conservatori producono più contenuti, e anche più contenuti falsi e problematici». Secondo un calcolo dell’istituto Igarape, negli otto giorni precedenti e successivi al primo turno delle elezioni presidenziali brasiliane del 2 ottobre, i canali YouTube di estrema destra hanno attirato 99 milioni di visualizzazioni, mentre quelli di sinistra 28 milioni. E gli analisti politici e l’opposizione hanno espresso il timore e deninciato, che l’esercito digitale di Bolsonaro possa aiutarlo a contestare i risultati in caso di sconfitta, diffondendo accuse infondate di brogli. Il tribunale elettorale, la massima autorità in materia, ha annunciato il 20 ottobre il divieto di contenuti «falsi o gravemente decontestualizzati che compromettono l’integrità del processo elettorale». La corte può intervenire senza la richiesta di un pubblico ministero o la presentazione di una denuncia. Ma poi i due sfidanti, nel faccia a faccia si insultano senza ritegno.
Nei giorni precedenti e successivi al secondo turno delle elezioni presidenziali del 30 ottobre, cioè adesso, le aziende di social network come YouTube e Meta – proprietaria di Facebook e Instagram – avranno solo un’ora di tempo, molto meno che in passato, per rimuovere i contenuti problematici. Le piattaforme che non si adegueranno rischiano multe fino a 150mila reais (28mila) all’ora e potranno essere bloccate sui server brasiliani fino a un massimo di 24 ore. Inoltre, è stata vietata la pubblicità elettorale a pagamento online nei due giorni prima e il giorno dopo le elezioni. Il presidente del tribunale elettorale, il giudice della corte suprema brasiliana Alexandre de Moraes, ha dichiarato che «l’aggressività di queste informazioni e dei discorsi d’odio merita un simile intervento». Severità utile ma risultato possibile?
Il procuratore generale Augusto Aras, nominato da Bolsonaro e considerato da molti un alleato del governo, ha presentato una mozione alla corte suprema per bloccare queste misure, a suo dire incostituzionali. Secondo Aras si tratta di «censura preventiva», che violerebbe la libertà di espressione e il diritto di informare ed essere informati sancito dalla costituzione brasiliana. Luis Claudio Araujo, professore di diritto all’università Ibmec, spiega che l’impostazione della costituzione brasiliana a proposito della libertà di espressione è simile a quella statunitense. E la corte suprema si è schierata con il tribunale elettorale nell’udienza del 25 ottobre.
Le nuove misure hanno fatto infuriare tanti sostenitori di Bolsonaro. Per altri sono giustificate dalle dimensioni della guerra sporca attualmente in corso online. La disinformazione è diventata più radicale – e organizzata – dai tempi della campagna presidenziale del 2018, quando i gruppi di estrema destra sono stati accusati di diffonderla a sostegno del presidente uscente.
Nelle elezioni presidenziali del 2018, la prima di fatto con i Solcial in campo, «C’era un atteggiamento quasi più onesto, nel senso che appoggiavano ideologicamente ciò che stava accadendo e creavano dei canali per partecipare alla conversazione», dice Guilherme Felitti, fondatore dello studio di analisi dati Novelo Data, che monitora più di cinquecento canali YouTube conservatori. Da allora, alcuni di questi hanno poi trasformato il loro attivismo online in un’attività commerciale, potendo contare su entrate pubblicitarie e sulle donazioni del loro crescente pubblico. E alcuni di loro che la bomba Social la gestiscono almeno in parte, si sono candidati alle elezioni di quest’anno.
Uno di loro è Enzo Leonardo Suzin, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Enzuh, che ha lanciato i suoi canali nel 2015. Quando Bolsonaro ha aperto la campagna elettorale, Suzin ha usato il suo canale YouTube e ha creato diversi gruppi WhatsApp – tra cui uno che ha ribattezzato “fabbrica dei meme” – per prendere di mira quelli che secondo lui sono i rivali di Bolsonaro: sindaci, governatori e perfino de Moraes, il presidente del tribunale elettorale. Suzin è stato riconosciuto colpevole di diffamazione e calunnia e ha ricevuto una multa di poco meno di cinquantamila reais (diecimila dollari) in cinque diverse cause. È anche oggetto di un’indagine della corte suprema sulla diffusione di notizie false online, in cui sono coinvolti Bolsonaro e alcuni suoi alleati politici. Ma ad ogni processo Suzin guadagnava qualche follower in più.
I suoi account Facebook e Twitter sono stati bloccati, ma non il suo canale YouTube, dove continua a postare ogni giorno. Eppure questo mese è stato sconfitto alle elezioni con cui sperava di diventare deputato dello stato di São Paulo. C’è ancora una speranza per il futuro del Brasile e di tutti noi.