Disastro Gaza, assaggi di terrorismo sciolto, e anche l’economia trema

Una sorta di ‘globalizzazione della guerra’. Come se non bastasse quella, in Ucraina ora la nuova crisi mediorientale a scuotere equilibri geopolitici ed economici già precari. Rischio di un Occidente minoritario tutto filo Israele, lasciando a Russia e Cina la tutela dei legittimi a disattesi diritti palestinesi. Significativo l’arrivo, poche ore fa, di Putin a Pechino.
A sottolineare come l’Occidente unipolare americano sia incapace di stabilizzare i conflitti che si aprono o si rinnovano, su scala planetaria, a rendere complicati tutte le strategie sul futuro del mondo, sia umano che economico.

‘Globalizzazione della guerra’

Ora anche la potenziale minaccia di terrorismo diffuso. Mentre la tragedia di Hamas in Israele fa crescere a dismisura la vendetta su Gaza. Una sorta di ‘immediata globalizzazione della guerra’. Come se già non bastasse quella, devastante, in Ucraina. E ora la nuova crisi mediorientale, sta già colpendo, pesantemente, anche i mercati internazionali. I numeri, per ora, dicono poco. Ma le ‘aspettative’, che poi sono quelle che indirizzano le scelte future, cominciano a diventare pessimistiche, anzi, cupe.

Economia strumento e bersaglio

Se i famosi ‘Servizi’ israeliani non hanno saputo prevedere un bel niente, di quanto aumenta, allora, il rischio geopolitico negli investimenti internazionali, e nel futuro dell’economia che scarica i costi delle guerre sul resto del mondo solo apparentemente non coinvolto? La risposta è, molto.

Previsioni a perdere

Un riconosciuto mago della finanza, come Nicholas Spiro, di Lauressa Advisory, ha scritto che questo conflitto «cambia la valutazione del rischio». La nipponica Nikkei Asia, che osserva tutto da lontano, aggiunge il suo allarme. Jamie Dimon, il ‘capo’ di JPMorgan, la più importante banca d’affari americana, incute paura: «La guerra in Ucraina, aggravata dagli attacchi della scorsa settimana contro Israele – ha detto – potrebbe avere impatti di vasta portata sui mercati energetici e alimentari, sul commercio globale e sulle relazioni geopolitiche. Questo potrebbe essere il momento più pericoloso che il mondo abbia visto negli ultimi decenni».

Economia e condizioni di vita

La riflessione/avvertimento del vertice di JP Morgan parte dalla sfera economica, per poi valutare l’influenza delle macro-aree di crisi anche sui fragili equilibri politici internazionali. Un effetto-domino che rischia di amplificarsi, spiega il Wall Street Journal, dedicando un report a «come cambiano i rapporti di forza globalmente» dopo l’attacco di Hamas e la prevista e pesante reazione israeliana in corso. Secondo il giornale finanziario Usa, in questa fase il vento gira a favore di Pechino e Mosca.

Schieramenti e convenienze

«Russia e Cina cercano di cavalcare l’onda della solidarietà con i palestinesi – scrive il WSJ – approfittando della distrazione americana». L’Occidente unipolare americano non riesce a stabilizzare i conflitti che si aprono o si rinnovano, su scala planetaria, e rende incerte tutte le previsioni anche sul versante economico e finanziario. Il pessimismo di Dimon/JPMorgan nonostante gli utili, straordinari, del settore bancario. La sua equazione è semplice: la rigidità del mercato del lavoro americano e la possibilità che l’inflazione resti abbastanza elevata, vogliono dire tassi ancora alti per diverso tempo.

La politica della Federal Reserve Usa sulle altre banche centrali. E comunque scenari sempre più complicati e sfavorevoli segnati da un ciclo senza fine di crisi internazionali.

Oltre l’unipolarismo Usa

Citigroup, prevede un ‘atterraggio morbido’ dell’economia Usa, il peggio per noi Europa, e qualche problema anche per la Cina. Ma per Pechino, l’ennesima crisi che vede impantanato l’Occidente, diventa un’occasione irripetibile per rilanciare alcune strategie economiche che sembravano avere perso slancio. La prima e più famosa è senz’altro la ‘Belt and Road Initiative’, quella ‘Via della seta’ reinventata in versione India su spinta Usa, coinvolgendo anche l’Arabia Saudita e persino Israele. Ora, questa ‘via indù’ allo sviluppo con quei protagonisti non sembra d’attualità.

Cina-Russia su Gaza

Abbiamo appena appreso che il presidente russo Vladimir Putin è arrivato in Cina dove vedrà il suo omologo Xi e parteciperà al summit Belt and Road. Prima erano stati i due ministri degli esteri, Wang Yi e Sergei Lavrov, a tsgionare su una comune strategia d’azione sulla guerra di Gaza. È stato chiesto, tra le altre cose, un intervento urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, «per evitare una catastrofe umanitaria nella Striscia». Diplomazia cinese in un attivismo febbrile in tutti i Paesi del Medio Oriente, segnala il South China Morning Post di Hong Kong. Calamitando le simpatie e le attenzioni di molti ‘non allineati’ e di diversi Paesi in via di sviluppo.

Coincidenza fortunata il grande forum internazionale sulla ‘Belt and Road Initiative’ a Pechino con Putin, la ‘Via della seta’ originale, a vincere il ‘disaccoppiamento’ dall’economia cinese, ordinato da Washington.

Risorgimento della globalizzazione

Una specie di ‘risorgimento’ della globalizzazione, costruito sul cemento e sull’acciaio delle infrastrutture pensate, finanziate e realizzate grazie all’intervento del colosso asiatico. E quasi a ‘consacrare’ il momento, Vladimir Putin a incontrare Xi Jinping a casa sua. Certo, le condizioni dei mercati, non sono le migliori. L’ultima crisi mediorientale rischia di avere effetti di ‘trascinamento’ difficilmente quantificabili, su materie prime ed energia.

Già, il petrolio. Ma, allora, la “realpolitik” a che serve? Pigliate Biden: per fare scendere il prezzo del greggio ha fatto un altro ‘patto del diavolo’. Col Venezuela di Maduro. Niente più sanzioni, in cambio della promessa di elezioni ‘libere’. Vedremo con chi si alleerà, la prossima volta.

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