Le guerre della ‘Intelligenza tradita’

Prima di avere la dimensione dell’orrore di quante vite umane erano state stroncate nell’attacco di Hamas, e la certezza di quelle, molte di più, che ne stanno seguendo da parete di Israele, l’attenzione di tutti era sul clamoroso e stupefacente inciampo dei potenti e tecnologici servizi segreti israeliani. Intelligence e un potentissimo esercito colti di sorpresa e costretti, in una prima fase, a subire. Come era già accaduto, molte volte, nella storia umana segnata dalle guerre.
C’era una volta, ma non troppo lontano dalla tragedia che si sta consumando ora. Memoria di altri clamorosi e tragici errori di ‘Intelligenza’, l’italianissima abilità rinascimentale del conoscere i segreti altrui, poi diventata ‘Intelligence’

Alcuni casi clamorosi e le inchieste

Il caso più noto e citato ovunque è senza dubbio l’attentato dell’11 settembre 2001 che non solo colpì New York, ma comprese anche l’attentato al Pentagono. Come mai – ci si interroga ancora –, vista l’articolazione dei preparativi, non ci fu un segnale di avvertimento?
Su un piano diverso si colloca invece l’attacco a Kiev dello scorso anno: le notizie c’erano ed erano inequivocabili, ma talmente abnormi che – ucraini a parte – nessuno era disposto a crederci, soprattutto per il semplice fatto che nel pensiero occidentale scatenare deliberatamente una guerra è ritenuto irrazionale, dannoso per chi lo fa e dunque impossibile.
Andando indietro qualcosa di simile avvenne pure nel lontano 1982 alle isole Falkland (o Malvine): sebbene le relazioni tra Gran Bretagna e Cile si potessero definire molto tese sul piano diplomatico e quasi sul punto di rottura, lo sbarco argentino fu una sorpresa inaudita che però provocò l’ultimo sussulto imperiale.
Da ricordare infine che, durante la Prima Guerra mondiale, anche l’Italia subì una gran brutta sorpresa: un attacco austriaco a Caporetto – comunque atteso e dunque non ignorato del tutto – per poco non provocò conseguenze molto gravi che forse avrebbero cambiato la storia italiana.
Oltre alle incandescenti polemiche tra l’opinione pubblica, seguirono quasi sempre inchieste ufficiali di vario tipo –interne, governative o parlamentari –, o perfino procedimenti giudiziari, ma spesso comparve un elemento di norma inatteso: l’errore umano nel tralasciare un’informazione, nella sottovalutazione della situazione o altre banali casualità.

Le inchieste su Pearl Harbor

Le vicende che ancora oggi rappresentano un interessante caso di studio e che offrono un’ampia documentazione furono le inchieste americane dopo l’attacco giapponese del 1941 e del resto vivaci scambi di accuse e aspre recriminazioni si levarono praticamente subito. La prima commissione d’inchiesta fu costituita dal segretario di Stato alla marina già il 18 dicembre 1941, ovvero undici giorni dopo: una prima relazione fu presentata alla fine di dicembre 1942 e ad essa seguì un supplemento di indagine che si protrasse fino al giugno 1944.
A condurre la prima inchiesta fu Owen Roberts, giudice della Corte Suprema, incaricato di determinare i fatti e accertare eventuali responsabilità, mentre il supplemento d’indagine fu invece affidato all’ammiraglio Thomas Hart, già comandante della flotta del Pacifico. In ambedue le inchieste però non fu fatta menzione che l’intelligence americana fosse in grado di decrittare il codice diplomatico giapponese, ossia lo strumento usato da Tokio per dare istruzioni ai propri ambasciatori.
Nel frattempo, dopo una decisione del Congresso, fu ordinato ai segretari di Stato all’esercito e alla marina di condurre ulteriori indagini ‘approfondite’ a conclusione delle quali – se necessario – istruire dei processi per i responsabili. I risultati di questa seconda inchiesta ufficiale furono presentati al presidente Harry Truman nell’agosto 1945 e da lui inviati al Congresso comprese le intercettazioni diplomatiche, nelle quali però – ad onor del vero – non si faceva esplicita menzione del luogo, del giorno e dell’ora dell’attacco. Si trattò di una svolta fondamentale nelle ricerche, ma che fece anche nascere il mito che ‘qualcuno’ sapesse e da cui derivarono fiumane di teorie complottiste tuttora in vita.

Tra responsabilità e fattori umani

Furono individuate le responsabilità di tre alti ufficiali, ma al primo di essi, generale Marshall, furono concesse attenuanti e rimasero in pasto all’opinione pubblica l’ammiraglio Kimmel e il generale Short, ovvero i due comandanti sul campo, o – se si preferisce – gli ultimi della catena gerarchica. Tra polemiche, dichiarazioni, memoriali, altre inchieste e ricorsi la faccenda non si concluse fino all’inizio degli anni Cinquanta e come scrisse nel 1953 uno degli avvocati dell’ammiraglio Kimmel in una lettera al suo assistito: «Pearl Harbor non muore mai e nessuna persona vivente vedrà la fine di questa storia».
Conclusioni a parte, il vero senso delle indagini si coglie da molte altre osservazioni minori, sparse nei quaranta volumi pubblicati, come il fatto che le informazioni non fossero comunicate direttamente al presidente Roosevelt, ma ai segretari di Stato all’esercito Stimson e alla marina Knox. Non mancarono altri rilievi relativi persino al clima di collaborazione o fiducia tra i vertici: i capi di stato maggiore, ad esempio, non nutrivano fiducia assoluta nei capi dei servizi informazioni perché – benché li avessero nominati essi stessi – non li giudicavano dei veri ‘comandanti’ in quanto privi di esperienze dirette alla testa di truppe e quindi non in grado di valutare le situazioni.
Del tutto negativo risultò poi il grado di fiducia nei confronti dei politici, ovvero coloro ai quali erano riferite le informazioni e che avevano nominato i vertici militari. Al contrario di altre inchieste, nel caso di Pearl Harbor tuttavia si andò a fondo anche per un altro motivo non dichiarato esplicitamente: alla fine della guerra era comparso infatti un nuovo potenziale nemico, l’Unione Sovietica, e il pericolo di subirne un attacco a sorpresa andava scongiurato in ogni modo.

PS: «Pearl Harbor non muore mai» e provate a fare una semplice ricerca in rete nel catalogo della Congress Library di Washington o della National Security Agency …

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