Atti di guerra esibiti come strumento del potere

L’uso della minaccia esterna per perpetuare le logiche delle forze al potere. I casi di Iran e Israele. L’attacco missilistico iraniano contro tra sabato 13 e domenica 14 aprile, seguito in numerosi ‘teatri globali’ e ‘mediorientali’, tra la paura di alcune piazze e di giubilo in altre. Limes prova a ragionarci sopra.

Tensione planetaria in diretta Social

«Una rappresentazione in tempo reale sincronizzata con l’apparire delle ‘notizie urgenti’ scandite dalle emittenti di tutto il mondo», la premessa di Lorenzo Trombetta. Teatri globali e mediorientali delle tensioni e nelle interpretazioni analitiche degli eventi. Globale e regionale le scale geografiche e politiche usate dalla stragrande maggioranza delle analisi finora proposte. Assieme ai contesti usati evocati per le diverse interpretazioni analitiche.

Teatro geopolitico planetario

Protagonisti e interpreti. «Come se ‘Iran’ e ‘Israele’ fossero due soggetti monolitici, protagonisti di una rappresentazione statica, accanto ad altri attori altrettanto monolitici, come gli Stati Uniti, la Giordania, gli hezbollah, la Francia, l’Arabia Saudita, gli houthi». Con un difetto chiave. Che il questa lettura di scontro tra Titani, finiscono seminascosti nello sfondo i gruppi locali.

Protagonisti minori che contano realmente

L’inganno più micidiale in cui rischiamo di precipitarci. Gruppi non sempre necessariamente armati né per forza schierati col cosiddetto ‘asse della resistenza’ guidato dall’Iran o con quello ‘filoisraeliano’ capeggiato dagli Stati Uniti. Quelle che con accuratezza Lorenzo Trombetta e lenca come «collettività israeliane, iraniane, siriane, libanesi, yemenite, irachene, giordane». Comunità variegate e spesso frammentate, all’interno del quadro nazionale. «Ma che svolgono un ruolo spesso rilevante nell’assicurare, in maniera diretta o indiretta, ‘sicurezza-e-stabilità’ ai rispettivi poteri statuali».

Iran, Israele, Usa e Giganti, la punta dell’iceberg

«Sbagliato considerare solo l’apice delle strutture politiche senza scendere sotto la punta dell’iceberg per esplorare le ramificazioni subnazionali del potere, sia istituzionali sia extra-istituzionali». Non solo ‘cosa ne pensano’ i cittadini o i sudditi di questo o quell’altro Paese dell’attacco iraniano o del raid israeliano al consolato di Damasco.

Molto più importante comprendere come i gruppi locali nei vari paesi partecipino alla equazione politica complessiva su scala nazionale, regionale e quindi globale.

Fuori dai radar Grandi eventi

Attenzioni politico elettorali spesso labili, soprattutto dove le elezioni servono a ribadire strutture politiche in piedi da decenni. Eppure, senza questi attori collettivi locali esistono e si esaltano proprio in questi eventi clamorosi e spettacolari. «E la guerra stessa, sia nella sua rappresentazione sia nella sua concretezza, non è soltanto un mezzo per negoziare tra i grandi attori geopolitici, ma è anche uno ‘strumento fondamentale’ per il rapporto, il negoziato tra i soggetti dominanti e quelli subalterni all’interno dei vari contesti statuali». Per intenderci, quello che Orteca stamane ci ha raccontato della Giordania. E poteva essere qualsiasi altro campo.

Risposte simmetriche e asimmetriche

«Nella sequenza bellica in corso da mesi e che proseguirà certamente ancora a lungo nel 2024 tra ‘Iran’ e ‘Israele’ e i loro rispettivi alleati, clienti e padrini, si staglia l’altalenante sforzo delle leadership iraniane e israeliane di mantenersi dominanti in un contesto di continuo negoziato con i rispettivi attori locali».

La retorica della paura

In questo contesto, una minaccia esistenziale proveniente dall’esterno deve essere continuamente alimentata. E la mobilitazione delle piazze serve al sistema politico iraniano per assicurarsi il consenso di settori di queste società. Come la mobilitazione altrettanto acritica e messianica di alcune fasce della società israeliana rispetto alle decisioni dell’attuale governo dello Stato conferma l’efficacia identitaria perversa del «noi contro loro»

Medioriente più sfaccettato della politica

Faciloneria errata immagina blocchi unici e coesi a favore delle scelte di guerra permanente e della retorica dell’annientamento del nemico. Giornalismo superficiali che non ha capacità o voglia di andare a scoprire gruppi subalterni contrari alle consolidate logiche del potere. Ci sono state ondate di proteste e contestazione, anche molto accese, capaci di mobilitare ampi settori della società in dissenso.

«La guerra è dunque un mezzo, non il fine. Ma non una guerra totale e distruttiva, bensì uno scontro calibrato, capace di tenere alta la paura locale e globale. E di perpetuare la ‘stabilità-e-sicurezza’ delle attuali strutture di potere».

 

Articolo precedente

Euro-economia di guerra, ma a Zelensky non basta

Articolo successivo

Israele attacca l’Iran. Esplosioni a Isfahan. Attacchi anche in Siria

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Most Popular

Remocontro