I phashi, i narcisi e la maggioranza democratica

Dell’avvento dei vecchi e dei nuovi phashi, dei narcisi della politichetta e di tutti noi che non ci meritiamo questa decadenza democratica.

La destra ha vinto. E ovviamente elegge i suoi migliori rappresentanti alle cariche che contano. Qualcuno mi dirà: ma uno è fascista, l’altro omofobo e razzista. E quindi? È giusto che chi vince, in democrazia, possa scegliere chi meglio di altri possa rappresentare il fermento culturale, per così dire, il mal di pancia, il risentimento e il desiderio di rivincita sulla storia che animano la fiamma della destra in ogni sua declinazione. Vestiranno eleganti, saranno sorridenti e gentili, avranno anche loro i consiglieri di immagine, ma sotto sotto restano phashi dell’epoca moderna. E vengono votati per questo livore urlato, per la passione che ci mettono nel far sentire i cittadini perfettamente rappresentati nella loro decadenza, nel loro asimmetrico modo di vedere e cogliere i diritti civili, quelli sociali.

I phashi lo sanno bene. Spingeranno forte il piede sull’acceleratore sui temi dove potranno farlo: la repressione dei diritti, il decoro a favore di chi possiede contro chi non ha niente, l’ordine e disciplina a fronte delle ingiustizie che mai potranno essere messe in discussione. E copriranno bene le frenate politiche sui temi internazionali in cui non avranno possibilità di dire e fare alcunché.

Il phascismo contemporaneo è mimetico. Ma non perderà di vista le basi, per così dire. Forti con i deboli e deboli con i potenti.

Non mi aspetto altro. Sono arrivati al governo alla fine di un periodo storico assurdo, dopo la distruzione culturale del Paese da parte di un berlusconismo tragico, ilare e sciocco, capace di attrarre nella sua scia anche buona parte di quel mondo intellettuale, politico e giornalistico che sembrava dovesse e potesse agire con più compostezza e rigore, dedicando sforzi per rendere compiuta la nostra democrazia e non per accaparrarsi spazi, visibilità e denari.

Hanno percorso l’ultima fase senza ostacoli. Mentre si dissolveva lentamente un mondo di significati e di valori. Mentre il narcisismo della politica abbandonava la realtà, e i valori democratici, antifascisti si scioglievano in una visione piatta della storia, abbarbicandosi intorno a battaglie di immagine, lontano dalle strade e dalle piazze, lontano dal mondo del lavoro e della disoccupazione, abdicando totalmente a una visione della società senza passione, senza cuore. Senza utopie, senza poter mai sperare in una vita migliore, ma considerando come migliore l’oscenità tecnocratica e mediatica della resa incondizionata e culturale. Profonda e dolorosa.

Hanno vinto e fanno quello che devono fare per essere quello che sono sempre stati. Dall’altra parte si percepisce il balletto del niente, dei narcisi sconfitti, del tentativo di mantenere a galla la barchetta dei soliti noti. Mentre la famiglia democratica, la maggioranza del Paese che non sogna la camicia nera, che non affonderebbe mai un gommone con bambini a bordo, che non lavora per Leonardo, ma vive semplicemente e fa volontariato, aiuta la vicina e pensa che non si possa far vincere la violenza e la stupidità e ritiene che la scuola e le conoscenze siano importanti, così come l’uguaglianza di diritti e di doveri, dovrà riprendere in mano il filo perduto della cultura e quindi della politica. Non solo della politica come partecipazione a incontri preconfezionati per sostenere questo o quello deciso dall’alto. Ma la politica che discenda dall’impegno, dalla cultura del territorio, dalla bellezza e dalla giustizia da preservare dall’attacco feroce della devastazione di ogni legame storico, sociale e umano.

La meglio gioventù deve riprendere a pensare e ad agire perché il futuro sia meno bieco. Perché non continui a prevalere la camicia nera culturale, ma neanche quella miseria tecnocratica e senz’anima che si propone come alternativa. Occorre riprendere il filo interrotto. Nei paesi, nei quartieri, dove la vita scorre ed è dura. Non basando tutto sull’obbedienza al più potente che paga o all’apparenza che si fa cultura mediatica nei non-luoghi.

La famiglia democratica deve ricominciare a sognare, ad avere a cuore il futuro di tutti. Ad avere cuore e passioni, non tecnicismi e bocconi amari da ingoiare perché ce lo chiede questa istituzione o quell’altra. Invertire la rotta non è impossibile. È faticoso e difficile, non impossibile.

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