Israele al voto locale: elezioni politiche per cambiare governo?

Ieri in Israele si è votato e, per una volta, la politica è stata praticamente soffocata dal sibilo delle bombe. Anche perché si trattava di elezioni locali, che tradizionalmente non mobilitano l’opinione pubblica come quelle generali. Figurarsi, a livello internazionale. Però, non sarebbe giusto dire «non se n’è accorto nessuno», dato che queste consultazioni amministrative hanno un senso chiaro. E mandano segnali da interpretare.

Ultra orthodox Jewish

Piccolo voto, segnale importante

In primo luogo, scrive Haaretz, il quotidiano di Tel Aviv, è una buona cosa e un’espressione di vitalità democratica che, un Paese in guerra, abbia organizzato regolarmente le sue elezioni. Da qui discende, però, il fatto che se si è potuto votare per i Consigli locali, allora nessun governo potrà avere nulla da obiettare sull’organizzare elezioni generali. Anche in tempo di guerra. In fondo, sostiene sempre Haaretz citando i numeri, per motivi di sicurezza non si voterà solo in 11 dei 252 Consigli previsti. Si tratta delle località poste subito a ridosso di Gaza o del confine con il Libano, dove quotidianamente si svolgono scontri e scaramucce con Hezbollah. Le previsioni parlano di un’affluenza bassa e di duelli tra i candidati, nelle principali città, praticamente dall’esito già scontato.

Sfide su temi locali

In genere, avvertono i commentatori israeliani, le sfide vertono su temi squisitamente locali e i confronti puntano a dibattere problemi e progetti molto specifici. Niente grande politica, insomma. Anche se esistono dei ‘battlegrounds’, dei campi di battaglia elettorali dove, inevitabilmente, gli scontri salgono di livello. Come ad Haifa, col sindaco Einat Kalisch-Rotem che potrebbe non essere rieletto o nella stessa Tel Aviv, dove il laburista Ron Huldai sembra avviato a riottenere il sesto mandato. Ma allora, quali elementi di interesse politico nazionale si possono cogliere, in queste elezioni che sembrano dominate da affari solo di ‘campanile’?

Il Grande Assente

In primo luogo, l’assoluta assenza del primo ministro dalla campagna elettorale. In altre occasioni, le Amministrative erano state per Netanyahu un’occasione imperdibile di visibilità, per rafforzare la sua immagine nel Paese. Questa volta no. Si può dire che sia praticamente scomparso dai radar della propaganda politica. Come mai non ha sostenuto i candidati del suo partito, in modo più visibile? «Forse alcuni di loro glielo hanno chiesto – dicono ad Haaretz – ma gli è stato detto che è troppo occupato a condurre la guerra. Ma è molto più probabile che nessuno di loro voglia essere contaminato da un primo ministro profondamente impopolare. Anche i Likudnik più fedeli sanno che Bibi non è una calamita per i voti in questo momento».

Segnali nazionali

Si diceva dei segnali nazionali di queste elezioni locali. Bene, per fare un riferimento storico, basta ricordare il voto per il consiglio di Gerusalemme nel 1993. In quel caso, Ehud Olmert, del Likud, rovesciò il laburista Teddy Kollek, grazie a un’alleanza innovativa con la comunità ultra-ortodossa. La stessa intesa che avrebbe portato al potere Netanyahu tre anni dopo. Insomma, in quel caso le elezioni amministrative di Gerusalemme furono una specie di laboratorio politico, un esperimento da cui uscì fuori una nuova formula di governo.

Prove di alleanze politiche

Bene, oggi le cose si ripetono. In quattro gare locali (Tel Aviv, Rosh Ah’ayin, Netiyor e Yeruham) il Likud di Netanyahu e ‘Otzma Yeudith’ (Potere Ebraico) corrono con candidati congiunti. Haaretz è particolarmente tagliente, perché definisce Otzma «il partito del suprematismo ebraico» e al suo leader, Itamar Ben-Gvir, attribuisce la capacità di chiamare a raccolta, dietro Bibi, tutta la destra israeliana più estrema. «Il Likud ha perso da tempo ogni somiglianza – scrive Haaretz – con il partito di Menachem Begin e Yitzhak Shamir, che negli anni ‘80 evitò totalmente il precursore di Otzma, cioè Kach. Eppure, la piena cooperazione elettorale rappresenta un nuovo minimo, anche per il Likud di Netanyahu, e un nuovo triste segno dei tempi».

Le fratture interne degli ultra-ortodossi

L’ultima annotazione dei commentatori politici riguarda l’interesse ‘asimmetrico’ delle elezioni locali sulla società israeliana. In particolare, si sottolinea l’impatto della campagna elettorale e del voto sulle comunità ultra-ortodosse degli Haredi. «Ci sono aspre lotte per il potere – conclude Haaretz – tra tre o quattro fazioni che rappresentano le tradizionali correnti ultraortodosse di chassidim, lituani e mizrahim, ma anche varie combinazioni di micro-sette, di corti chassidiche separate (e in alcuni casi come la dinastia Ger, divise tra rebbe rivali), in guerra tra yeshivah e seguaci di diversi rabbini». Un caleidoscopio di posizioni che, se proiettato nell’arena politica, farebbe diventare ingestibile qualsiasi sistema democratico.

Torah, e il resto gratis

Per finire, così Haaretz descrive l’interesse degli ultra-ortodossi nelle elezioni amministrative: «Gli Haredim vivono in un universo parallelo a quello della maggior parte degli israeliani e non sono così infastiditi dalla guerra di Gaza. Pur essendo scollegati dalle preoccupazioni della società israeliana tradizionale, sono più di ogni altra comunità legati ai fondi e ai posti di lavoro dei contribuenti, molti dei quali vengono assegnati attraverso i Consigli locali».
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