
Nessuno si salva: donne, bambini e anziani primi bersagli di stragi. L’intento è quello di indurre la popolazione a fuggire verso il vicino deserto del Sahara e la Libia, da dove i fuggitivi, se non vengono prima imprigionati dai libici, pagheranno gli scafisti per attraversare il Mediterraneo e approdare, se il barcone non affonda, in Europa (e in Italia in particolare).
Dopo il rovesciamento nel 2019 del dittatore Omar al Bashir, e il nuovo golpe militare del 2021, due fazioni di contendono il potere. Da un lato l’esercito regolare (Saf) del generale Abdel Fattah Burhan, che guida il Consiglio di transizione dopo il suddetto golpe del 2021.
Dall’altro le “Rapid Support Forces” (Rsf), comndate dal generale Mohammed Dagalo, detto Hemedti. Sono, quest’ultime, le eredi delle famigerate milizie “janjaweed” dello stesso Hemedti, note per le loro violenze e le stragi di civili. Anche se lo stesso esercito regolare di Fattah Burhan non usa certo la mano leggera.
Ora le milizie ‘Rsf’ di Hemedti stanno prendendo il sopravvento. Hanno infatti conquistato la città chiave di Jebel Aulia e il suo aeroporto, a soli 40 km dalla capitale Khartoum. Nelle vicinanze c’è anche una diga che ha già subito danni nei combattimenti. Se crollasse, la stessa Khartoum sarebbe allagata e la capitale del Sudan diventerebbe inabitabile.
Purtroppo non vi sono segnali di accordo tra Burhan e Hemedti, e la battaglia prosegue feroce pur in presenza di oltre 6 milioni di profughi interni e di 1,4 milioni di persone che si sono rifugiate nei Paesi confinanti (peraltro poverissimi).
L’evanescente OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) non riesce a frenare la guerra civile. Si registrano invece interventi esterni, con la Russia che appoggia le Saf di Hemedti mediante i mercenari della Wagner, e l’Egitto che cerca di supportare l’esercito di Burhan.
Un fatto è certo. Il Darfur era già al collasso in precedenza, e adesso potrebbe andare incontro alla rovina finale. L’80% degli ospedali della regione non funzionano più, e aumentano i rischi di carestia e i casi di morte per fame, che coinvolgono in primo luogo i bambini.
Con Khartoum in pratica distrutta, non solo il Darfur, ma l’intero Sudan è vicino all’implosione, senza che la comunità internazionale riesca a interrompere il massacro