Gli dei di Omero sono un fenomeno istruttivo e divertente da rileggere. Abitano l’Olimpo, nella Tessaglia greca, hanno forma umana ma di taglia XXL, sono fortissimi, sono immortali. Qualche volta sono feriti ma guariscono sempre, mangiano e bevono come noi ma solo ambrosia e nettare, così evitano il fastidio inelegante di dover andare ogni tanto in bagno. Amano e odiano come noi ma in forma anche questa ingigantita, si sposano e procreano ma senza andare troppo per il sottile negli accoppiamenti e nella fedeltà coniugale. Sono semplicemente l’esaltazione di umanissimi pregi e difetti, con il privilegio di possedere superpoteri che li rendono in grado di aggiustare i fatti a loro piacimento. Tutto questo, ovvio, se di mezzo non ci sta un altro dio in concorrenza, con i suoi trucchi alternativi e superpoteri avversi, nel qual caso sono guai. La stessa guerra di Troia, a dar retta a Omero, è stata combattuta più fra le nuvole dell’Olimpo che nella piana dello Scamandro su cui si affacciava la città fortificata.
Capo supremo della rissosa famiglia degli dei è Zeus, che noi latini abbiamo poi ribattezzato Giove. Zeus è padre degli dei e degli uomini e di loro si occupa. Il suo volere è legge e, ogni volta che un dio o un uomo cerca di fregarlo, si arrabbia, aduna i nembi e scaglia fulmini. Zeus è un gran figlio di buona donna. Per la verità la mamma si chiama Rea. Anche il padre non è uno stinco di santo: Crono, decisamente vorace, s’era mangiato tutti i figli tranne lui. Della nidiata Crono-Rea fanno parte anche Poseidone e Ade. Scampato al pasto Zeus passa all’azione: salva i fratelli dalle viscere paterne e li trascina in guerra contro il genitore. Pare che questo, nelle famiglie di chi ha molto da spartirsi, accada abbastanza spesso.
Spodestato papà Crono, Zeus spartisce con i fratelli l’impero del mondo: a Poseidone tocca il mare, ad Ade i regni dell’oltretomba. Per se stesso, da gran furbone, tiene il cielo e la terra. Sistemata la famiglia d’origine, il buon Zeus si mette in proprio. Sposa Era, per noi latini Giunone, che Omero descrive giunonica appunto nelle forme, abile negli intrighi, petulante e gelosa. E c’è da dire che tanta gelosia è giustificata, si sa. Era ha insomma un bel portamento ma anche un bel caratterino. I due coniugi divini litigano sovente. Non a caso, dal matrimonio fra i due nasce Ares, il nostro Marte, dio della guerra. Di altri figli legittimi non abbiamo traccia, salvo qualche mia imperdonabile e ingiustificata assenza scolastica.
Fatto sta che Giove si dà molto da fare anche fuori dal talamo nuziale. Da una sua sbandata per Dione nasce Afrodite, la Venere latina, dea della bellezza e dell’amore. Per una questione di interesse nazionale su di lei insisto. Figlia di cotanto padre, Afrodite si prende a sua volta una cotta per l’umano Anchise. Dai due nasce Enea, e la leggenda dell’origine semidivina di Roma, sorta in quel Lazio dove il ragazzo troverà rifugio in fuga da Troia. Come tutti sanno da Virgilio e dall’Eneide, Romolo e Remo sono i lontani discendenti di Enea.
Ma rimaniamo a Zeus e alla sua inquieta prole. Dopo Dione, Giove s’impegna in una storia con Leto, da cui nasce Apollo, anche lui un bel pezzo di ragazzo, spesso raffigurato con arco o lira, deputato fra le altre cose a proteggere e ispirare i poeti. Anche i suoi amori producono guai: s’innamora della ninfa Dafne e questa innocente, per scampare alle sue voglie, si trasforma in alloro, da qual momento pianta sacra agli arrosti e agli dei. Sempre Apollo, fa il bis con la figlia di Priamo, re di Troia, Cassandra, e anche da questa si becca un bel rifiuto. Ma respingere la corte di un dio, s’intuisce, può essere pericoloso. Altro che il mobbing sessuale di oggi. E Cassandra è condannata a predire correttamente il futuro, la rovina di Troia per esempio, e all’infelice destino di non essere mai creduta.
Difficile e ingrato mestiere la cassandra, da allora sino all’ottimismo di Stato dell’attualità, per cui quel nome è diventato un atto d’accusa. Cassandra oggi potrebbe parlarci di economia che scende e disoccupazione che sale, di libertà di stampa strozzata e monopolio televisivo, di interesse privato nella funzione pubblica, di accoglienza negata ai più deboli, del declino della scuola e della cultura, del suicidio ambientale in corso sul pianeta. Cassandra ribadita come denuncia e anatema, col rischio – per l’autore – dell’aggravante politica per le facili confusioni con l’attualità.
Ultima in questa anagrafe olimpica ma non ultima nei valori, la dea Atena, la Minerva latina, grande interprete delle virtù della cultura greca. Nasce già adulta, armata e, massimo segno dell’arroganza di Zeus, direttamente dalla sua testa, che lui, quando fa da sé, sembra dare il meglio. E Atena infatti è l’emblema dell’intelligenza, dell’equilibrio e della saggezza. La dea viene a contesa con lo zio Poseidone sul nome da dare a una città che sta sorgendo allora nell’Attica. Fra i litiganti, stabilisce Zeus, vincerà chi darà agli abitanti di quella città nascente il dono più utile. Poseidone batte il suolo col tridente e ne esce un cavallo, strumento essenziale per la guerra. Atena dona l’ulivo, simbolo di pace, e vince. Dal suo nome nasce Atene, con la sua cultura universale.
Ma torniamo agli amori del gran capo dell’Olimpo. Un capitolo a parte merita la passione per Leda. Da quell’amore nasce la bellissima Elena, che diventa poi la moglie del re acheo Menelao e la causa apparente della rovina di Troia. Messa così, in pillole, gran parte dell’epica arcaica ci appare ora come un gigantesco serial televisivo, ancor meno verosimile delle improbabili vicende sentimentali e temporali di Beautiful. Ma non possiamo neppure esagerare con la dissacrazione. Quelle dimostrazioni di eccellenza poetica che sono l’Iliade e l’Odissea, abbiamo già visto, non nascono certo nate come libri di storia.
In tempi precari e violenti come quelli di Omero, sarebbe difficile raccontare di quella splendida civiltà votata al suicidio politico da infinite guerre interne, se non attraverso le bizze di supereroi permalosi e meschini o di dei nevrotici e vendicativi. Il mito diventa la giustificazione a vicende altrimenti insostenibili e gli dei dell’Olimpo sono l’alibi per re e condottieri spesso rozzi, codardi, imbelli o traditori. Il mito allevia le responsabilità degli uomini e fornisce, assieme, titoli di nobiltà d’animo e di denominazione d’origine controllata ai signorotti della guerra. La povera e vituperata Elena diventa l’antesignana, versione poetica e mitologica, della idealpolitik, dietro cui nobilitare la guerra di conquista e distruzione dei greci contro i troiani.
Attraverso il mito si creano anche i valori con cui educare una civiltà. Il mito della gloria come motivazione alta a guerre altrimenti prive di buoni e di cattivi in grado di sopravvivere al tempo. Nel turbinio di alleanze tradite che segna la vita delle città Stato del Peloponneso, difficile per il cronista del tempo dire del cattivo di turno senza il rischio di trovarselo, domani, come nuovo buono a cui dover rispondere. Per non finire nei guai, il cantore ha una sola possibilità. L’eroe dei suoi miti non combatte tanto per un esercito o per un re, quanto per se stesso, per la sua gloria e per gli dei. Ecco perché Omero ci descrive Ettore sconfitto come un eroe, alla pari d’Achille che sarà il vincitore. Come certi conduttori di programmi televisivi che sono chiaramente al servizio di una parte ma che invitano in trasmissione anche gli “altri”, un po’ per sparargli contro e un po’ per pararsi le spalle: non sia mai che gli oppositori di oggi diventino i governanti di domani.
Omero dunque cantore dei principi e, a volerlo sintetizzare nel linguaggio spregiudicato della nostra modernità, piazzista di storie di guerra e di principi-padroni che senza la sua inarrivabile poesia sarebbero stati invendibili. Irriguardoso? Molto più severo il giudizio etico che viene dall’antichità. «Omero ha insegnato anche agli altri a dire il falso come si deve dire ». Parola d’Aristotele (Poetica, XXIV, 1460, 18-19).