La Cina dà un potente scossone a tutte la geopolitica del Medio Oriente, mediando un accordo a sorpresa tra due nemici mortali, l’Iran e l’Arabia Saudita, che riallacceranno relazioni diplomatiche. Si tratta di un vero colpo di teatro, che avrà, di sicuro, conseguenze pesanti su tutti gli scacchieri planetari. L’intesa, tra le potenze egemoni del Golfo Persico, segna anche una plateale sconfitta per la Casa Bianca e per l’ondivaga politica estera del Presidente Biden. Come riporta il Teheran Times, “l’accordo è stato bruscamente annunciato, dopo cinque giorni di colloqui intensi e segreti nella capitale cinese Pechino”.
Così, dopo sette lunghi anni di gelo e di attriti che li hanno portati quasi allo scontro frontale, l’Arabia Saudita e l’Iran potranno tornare ad avere un confronto più costruttivo, per ridare equilibrio a tutta la regione del Golfo Persico. Tra gli obiettivi prefissati, il congelamento della guerra civile nello Yemen e l’impegno degli ayatollah a evitare che i ribelli Houthi attacchino le infrastrutture petrolifere saudite. Il merito di questi risultati? Senz’altro di Xi Jinping e dei suoi ‘sherpa’, capaci di tessere pazientemente una tela diplomatica che, negli ultimi anni, dopo Obama, è stata più volte strappata dagli americani. I cinesi, infatti, hanno saputo colmare il vuoto strategico creatosi nel Golfo, riuscendo a far dialogare i due avversari, esponenti di punta della millenaria contrapposizione tra l’universo sunnita e quello sciita, all’interno del mondo islamico.
A dicembre, Xi Jinping si è recato personalmente in Arabia Saudita, per incontrarsi con l’uomo forte del Regno, il Principe bin-Salman. A febbraio, invece, è stato il Presidente iraniano, Ebrahim Raisi, a visitare Pechino. I progressi diplomatici cinesi sono stati accompagnati dallo speculare declino della forza di ‘persuasione’ della Casa Bianca. Completamente assorbita dalla guerra in Ucraina e dalle crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan, l’Amministrazione Biden si è ‘dimenticata’ del Medio Oriente, gettando alle ortiche un patrimonio di relazioni pazientemente costruite negli ultimi lustri. Ha trascurato, inoltre, le trattative sul nucleare con gli ayatollah, preferendo adottare una politica attendista, che ha finito per scontentare tutti. A cominciare da israeliani e sauditi. E quando, per ragioni di ‘filosofia geopolitica’, gli Usa hanno deciso di smobilitare, quasi totalmente, dall’Iraq e dalla Siria, era chiaro che i russi sarebbero ricomparsi per recuperare il terreno perduto nella regione, dopo il crollo dell’Urss.
Ma anche la Cina ha messo radici stabili in quest’area, che sta cercando di dividersi, come sfera d’influenza, in condominio con la Russia. Sottraendola definitivamente al controllo occidentale. E non è solo un obiettivo legato al petrolio, che Pechino, è vero, importa a fiumi. Negli Stati Uniti, l’allarme è già suonato da un pezzo, fin da quando le sanzioni, imposte per l’invasione di Putin dell’Ucraina, hanno provocato uno shock energetico di dimensioni planetarie. La crisi conseguente ha riportato in auge il Medio Oriente, ridandogli il ruolo di ‘hot spot’ e di area da continuare a supervisionare, investendo risorse, economiche e diplomatiche e adottando un minimo di quella ‘realpolitik’ che Biden si è sempre rifiutato di impiegare.
L’autogol di Trump sul nucleare iraniano, la contrapposizione di Biden con i sauditi sui diritti umani, le frizioni con l’Opec sulle quote petrolifere e la pressione esercitata su molti Paesi affinché si ‘allineassero’ alle visioni di Washington (e dell’Europa, a traino) hanno reso arduo ritrovare il ruolo perduto dall’America.
Secondo Aaron David Miller (Carnegie Endowment), un ex negoziatore Usa per il Medio Oriente citato dal Wall Street Journal, «l’accordo è un vero schiaffo in faccia a Joe Biden, perché giunge in un momento in cui le relazioni tra Usa e Cina sono fredde e l’Arabia Saudita, tuttavia, si rivolge a Pechino. Adesso, tutto le tessere del fragile mosaico mediorientale traballano e si aprono nuovi interrogativi. C’è un rimescolamento di posizioni geopolitiche, che aumenta la complessità delle relazioni internazionali e, con un effetto domino, tocca altri scenari.
Quale sarà la reazione di Israele, che nel rapporto con i sauditi cercava la sponda, per alzare una solida barriera contro l’Iran? E il Patto di Abramo, mediato dagli Usa, avrà ancora un senso? Ma, soprattutto, la riflessione più importante va fatta sulla possibilità che il blocco euro-asiatico, Russia-Cina, soppianti, come polo strategico di riferimento, quello euro-atlantico, incarnato da Europa e Stati Uniti.
In fondo, il passato imperialista, schiavista e coloniale delle moderne democrazie occidentali non è certo il miglior biglietto da visita, per farsi amico il Terzo mondo ed ‘esportare’, con prepotenza, la nostra visione della vita. Non sempre funziona, insomma, riallineare i ‘non allineati.