La campagna tedesca contro la Francia del maggio 1940 si era conclusa con una rapidità inattesa e ciò fece temere a Mussolini che Hitler potesse assumere un ruolo dominante. L’idea fu allora di condurre una guerra ‘parallela’, senza confrontarsi con l’ingombrante alleato. La decisione in sé fu soprattutto una ripicca nei confronti di Hitler, dopo l’occupazione dei pozzi petroliferi di Ploiesti in Romania non comunicata preventivamente all’Italia: furibondo per la mossa tedesca, Mussolini proclamò che Hitler avrebbe saputo «dai giornali» dell’occupazione della Grecia, ma le cose andarono diversamente. Ad andare su tutte le furie fu invece il dittatore tedesco, che – per sfruttare al massimo le materie prime dell’Europa sud orientale e non irritare troppo l’Unione Sovietica – aveva al contrario la necessità di mantenere lo status quo ed evitare altri conflitti. Mussolini tuttavia non fu il solo responsabile: il ministro degli esteri Galeazzo Ciano – genero del duce – confidava in un crollo subitaneo della Grecia, minata – a suo parere – da sfiducia nel governo Metaxas. Pare inoltre che lo stesso Ciano si fosse vantato di aver corrotto con cospicue somme esponenti del governo greco per favorirne la resa, ma non accadde nemmeno questo. Due errori di valutazione e una campagna militare del tutto inadeguata portarono in breve alla catastrofe.
All’alba del 28 ottobre 1940, anniversario della marcia su Roma, forze italiane attaccarono dall’Albania lungo il litorale e dalle montagne. Il maltempo autunnale imperversava già da un paio di giorni e cominciò subito la ‘guerra del fango’: gli automezzi – peraltro scarsi – si impantanarono subito e ciò significò un rallentamento nei rifornimenti e nei collegamenti. Anche l’aviazione fu costretta a terra e ciò impedì sia un appoggio alle truppe sul terreno, sia la necessaria ricognizione aerea. Sempre a causa di una tempesta, questa volta in mare, si dovette annullare anche l’occupazione dell’isola di Corfù, che sarebbe sta al contrario una mossa vantaggiosa. La reazione greca fu energica da subito e – nonostante le rosee previsioni di Ciano – in tutto il paese si levò invece un’ondata di patriottismo, anche perché la dichiarazione di guerra era stata consegnata solo poche ore prima, praticamente senza il consueto ultimatum. «Oki», in greco «no», sollevò un popolo intero contro l’aggressore. Il 3 novembre le forze italiane erano già in difficoltà lungo tutto il fronte che correva dalle montagne del Pindo e dell’Epiro fino alla costa, ma il generale Visconti Prasca continuava a nutrire un cauto ottimismo. Mentre affluivano in maniera concitata e disordinata i rinforzi dall’Italia, sbarcando nei porti albanesi privi spesso di moli e banchine, i greci contrattaccarono in forze anche con i reparti dislocati alla frontiera bulgara trasportati rapidamente a occidente. Il 9 novembre Visconti Prasca fu rimosso.
Basta scorrere uno dei tanti diari o ricordi guerra, scritti da semplici soldati, per trovare parole ricorrenti: «Fu un inverno disastroso: neve, fango, freddo, fame! – scrive ad esempio un alpino della “Julia” – Eravamo rintanati tra i sassi, con i greci che ci sparavano addosso da tutte le parti e che ci bombardavano con i mortai. Gli alpini imprecavano contro il “governo ladro” che li aveva mandati al fronte con la sola mantellina, ma tenevano duro […]». Le condizioni insomma erano molto simili a quelle che avevano affrontato i padri nella guerra precedente: trincea, freddo e fame. Per sgomberare feriti o ammalati spesso a disposizione c’era solo il mulo per il trasporto nelle retrovie e all’ospedale militare e non furono solo gli alpini a subire le conseguenze dell’inverno, ma tutta l’armata: i dati sulle perdite sono sempre controversi, scritti e riscritti molte volte, ritoccati o stravolti, ma nell’inverno sui monti della Grecia il numero dei caduti fu quasi pari al numero dei congelati. Nessuno di loro avrebbe però immaginato che due anni dopo, in Russia, si sarebbe replicato un copione ancora più tragico. Il fronte rimase fermo in questa situazione fino all’aprile 1941, quando, dopo l’attacco tedesco alla Jugoslavia, fu occupata anche la Grecia: la vittoria schiacciante dei tedeschi fu sentita però come una sorta di umiliazione, anche perché i greci trattarono prima con i tedeschi.
Nonostante la propaganda l’esito disastroso della campagna fu ben presto evidente a tutti e si aprì una stagione di aspri duelli e lotte intestine che si sarebbe conclusa solo il 25 luglio, con la caduta di Mussolini. I gerarchi del partito fascista attaccarono i militari e viceversa: uno dei più violenti nelle furibonde polemiche fu Roberto Farinacci, rappresentante dell’antico squadrismo e ammiratore ardente della Germania nazista. Sin dalle prime notizie Farinacci tempestò Mussolini di lettere e memoriali contro Badoglio, anche se in realtà il ras di Cremona non si rese del tutto conto di essere usato a sua volta da altri generali che tramavano invece contro il capo di stato maggiore. Mussolini alla fine cedette consentendo di ‘trattare l’argomento’, ma senza immaginare cosa sarebbe successo. Farinacci pubblicò allora sul proprio giornale «Il Regime Fascista» un articolo dal titolo provocatorio “Zavorra” rivolto allo stato maggiore criticandolo per imprevidenza e intempestività. Badoglio, credendo si trattasse di un’iniziativa personale non concordata con Mussolini, reagì chiedendo pubblicamente una ‘rettifica’ da parte del giornale. Si innescò così una diatriba sotto gli occhi di tutti fermata solo dal sequestro del giornale «La Tribuna», che rappresentava una sorta di giustificazione di Badoglio. Alla fine Badoglio si dimise, sostituito dal generale Cavallero che per primo aveva fornito a Farinacci le note riservate sulla guerra.
Oltre ai diari, che hanno prevalentemente un valore personale e di testimonianza storica, l’esperienza della Grecia o dell’Albania costituiscono un capitolo importante anche nella storia letteraria italiana o della memoria collettiva. La pattuglia di scrittori nati tra queste vicissitudini è abbastanza nutrita e varia, perché si aggiungono i ricordi non solo dell’inverno del 1940-41, ma anche della successiva occupazione fino al settembre 1943.
Rispettando l’ordine cronologico vale la pena di ricordare Renzo Biasion, che fu anche pittore, e pubblicò «Tempi bruciati» nel 1948 e «Sagapò» nel 1953;
Ugo Pirro, con la casa editrice Feltrinelli, pubblicò «Le soldatesse» nel 1956;
Giovanni Pirelli scrisse «L’entusiasta», pubblicato da Einaudi e dunque selezionato da Elio Vittorini, nel 1958;
Gian Carlo Fusco, nel 1958 e nel 1961, pubblicò rispettivamente «La guerra d’Albania» e «Le rose del Ventennio», ricchi di personaggi ed aneddoti agrodolci ormai entrati nella storia.
Seguono Manlio Cancogni con «la linea del Tomori», edito da Mondadori nel 1965, e Mario Rigoni Stern con «Quota Albania», edita da Einaudi nel 1971. Tutte opere diverse l’una dall’altra, sia per le personalità degli autori, sia per le singole esperienze, ma ora tutte da rileggere, per ricordare una pagina certamente tragica e dolorosa, ma anche un po’ vergognosa del nostro passato.