«Una volta passavamo ingiustamente per la Bulgaria della Nato, quasi fossimo i tirapiedi degli Usa. Eppure facevamo spesso gli affari nostri, senza classificarli interessi nazionali (suonava male). Danzando destramente intorno ai limiti della guerra fredda, senza infrangerli. Sapevamo quale fosse il nostro posto nell’Occidente. Ma a tavola non ci sono più posti assegnati. Te lo devi conquistare nel mucchio selvaggio».
È il momento degli opportunisti e di chi bada al proprio. E durerà a lungo, prevede Caracciolo. ‘Senza riferimenti, sbandiamo paurosamente’. E gli esempi sono facili da trovare, con un po’ di attenzione in più nel volerli leggere. Prima a firmare un’intesa con la Cina, «vuota di contenuti economici ma piena di simbolismi geopolitici, perfino ideologici, scatenando la legittima irritazione dell’America». Ma quando da oltre oceano si irritano e chiedono conto: «il memorandum non lo rinnoviamo, viva il ‘partenariato strategico’, abracadabra che non si nega a nessuno».
«La Cina più che irritarsi ne ricava che trattare con noi sia tempo perso. Questo pare il sottotesto dell’anodina dichiarazione del premier cinese Li Qiang dopo l’incontro con Giorgia Meloni al G20 di Nuova Delhi». E due autogol in cinque anni con/contro il Numero Uno e il Numero Due economici e politici mondiali è vero record. Ma per fortuna pochi se ne accorgono fuori d’Italia, nascosti come siamo dietro il paravento G7 di tempi lontani, quando la scala si settima potenza economica con cui misurare il mondo era ancora dominata dall’Occidente.
Il G20 come Babele geopolitica è l’efficace fotografia di Limes. Pensato come vertice delle maggiori economie mondiali, oggi è più o meno la somma di G7 e Brics in rapida espansione, variegata e conflittuale compagnia. Gli anti-americani per professione o perché respinti dal Numero Uno -Russia e Cina, per intenderci-, più diverse potenze regionali in bilico, come Brasile, Sudafrica e soprattutto India. La ‘Repubblica di Bharat’ come la ribattezza il suo leader indù, Modi, convinto che Bharat passerà alla storia quale titolare di questo secolo come gli Stati Uniti lo furono dello scorso o la Gran Bretagna dell’Ottocento.
Il tutto all’insegna del ‘provare per errori’. «l’ideale per la classe dirigente della Prima Repubblica, un bel problema per l’attuale. Certo il presidente del Consiglio, conscio della sua radice originaria e del suo attuale status, cerca di seguire l’America sui grandi dossier internazionali. Riflesso ortodosso. Il problema è che non c’è più ortodossia. L’America non sa come gestire il suo declino perché non sa pensarsi altro che egemone assoluto ma non ha più i mezzi per esserlo».
E se pure li avesse gli altri, ‘alleati‘ inclusi, non glieli riconoscono. Italia chiamò: cara America vorremmo tanto stare con te ma tu dove stai? Sorry, caduta la linea.
Se non ci sono più regole né santi in paradiso, conviene prenderne atto e stabilire davvero quel che vogliamo. Meglio, che possiamo volere. Dire che bisogna farlo senza farlo non è furbo. Si può accettare l’eterodirezione quando c’è qualcuno che ti dirige. Se manca, resta l’allegria di una vita come Steve McQueen. Però in motoretta.