Gli esagerati 70 anni Rai non molto ben portati

Impazzano le celebrazioni sui 70 anni della televisione, ufficialmente nata il 3 gennaio 1954 per iniziativa non della RAI Radiotelevisione Italiana, ma ‘R.A.I. Radio Audizioni Italia’ (il nome sarebbe stato cambiato il 10 aprile successivo). E nessuno vuole ricordare che l’acronimo R.A.I. era nato dieci anni prima, nel luglio del 1944, per sostituire l’EIAR, almeno nell’Italia centromeridionale, ormai liberata (qualcuno oggi forse preferirebbe dire ‘occupata’, e forse per questo stesso motivo la RAI pare non voler ricordare quell’anniversario), il legittimo sospetto di Andrea Melodia, per Ucsi e Remocontro.

Lo stato del servizio pubblico oggi in Italia

Cosa significa, oggi, parlare di ‘canali televisivi generalisti di servizio pubblico’, cioè di quello che tradizionalmente deve fare la RAI?
Generalisti significa, singolarmente o nel loro insieme, che devono essere dedicati a tutte le fasce di pubblico: non solo agli anziani, o ai colti o agli ignoranti.
Servizio pubblico significa che devono avere uno scopo di utilità generale, per esempio contribuendo alla coesione sociale, alla capacità di distinguere il vero dal falso, il bello dal brutto, cioè che è intelligente da ciò che è stupido; e fornendo strumenti adatti a questi percorsi di ricerca, nel doveroso rispetto del pluralismo, ma senza rinunciare a fornire una linea.
Il tutto, senza diventare noiosi o pedanti, ma continuando a rivolgersi a pubblici quantitativamente significativi.

L’etere e ora la Rete

Inoltre, è chiaro che oggi i canali televisivi viaggiano anche su YouTube, che tutto quanto produci è destinato a continuare la circolazione per gli infiniti rivoli della rete, e che qualunque ragazzino intraprendente – oltre ai mega-gruppi internazionali dalle risorse inesauribili – può essere il tuo concorrente usando il suo smartphone. Dunque, il tuo business, tu Media Company di servizio pubblico, devi cercare di recuperarlo ogni giorno in questo bailamme di novità e di confusioni.

Radio-Televisione+Rete

I canali non sono più solo televisivi, a meno che non si aggiorni l’idea stessa di televisione, che in effetti oggi – ma anche qui si rischia l’accademismo professionale – definirei piuttosto «trasmissione contestuale di un flusso continuo di immagini destinate al grande pubblico», con ciò chiarendo che non si pensa più soltanto all’etere, e neppure al palinsesto lineare.

Da dove parte la crisi della RAI

No, non è solo questione di calo degli ascolti, di risorse sempre più incerte, di disaffezione, di scarsa autonomia e di pressione politica. Tutte queste cose contano, ma alla base c’è un problema strutturale: il bisogno di reinventare il ruolo della televisione oggi, nella nuova veste di media company di servizio pubblico.
Molti a questo punto dicono: basta, lasciamo perdere. La vecchia TV sarebbe moribonda, il servizio pubblico anche, inutile incaponirsi al capezzale del malato.

Nessuna asticella fra vero-falso, giusto-ingiusto, utile-dannoso?

Ma davvero è utile lasciare alla arroganza libertaria che appare predominante il diritto di consumare ogni forma di comunicazione senza che un filo rosso, una asticella che segni il confine tra il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, l’utile e il dannoso, possano aiutare tutti, giovani e anziani, a crescere e vivere in armonia, per quanto possibile?
Sovrabbondanza e casualità regnano incontrastate nel mondo della comunicazione. Meglio questo, oppure l’ordine coatto proposto da offerte controllate da partigianeria e/o interessi commerciali?

Bisogno di Servizio Pubblico più di prima

No, di servizio pubblico abbiamo ancora bisogno, anzi ne abbiamo più bisogno di prima. Oggi non basta essere presenti nel racconto degli eventi che sono le connessioni costituenti della vita sociale, occorre anche agire sottotraccia, contrastando gli algoritmi dannosi che condizionano la comunicazione e inventandone di nuovi e utili alla collettività. Non è solo questione di informare, ma anche di divertire, raccontare storie, riflettere sulla realtà. E sporcarsi le mani con l’Intelligenza Artificiale.

‘Gestione’ troppo politica e resistenza flebile

Le istituzioni si preoccupano di proporre, in alternativa, interventi gestionali che troppo spesso rischiano di trasformarsi in strumenti di propaganda politica. Peraltro, è poco utile prendersela con singole politiche. Posso testimoniare che la destra oggi, e la sinistra ieri, hanno fatto e fanno a gara per limitare l’idea del servizio pubblico, che richiede senso dello Stato.

E la resistenza interna si fa sempre più flebile: non si può accettare che quanto resta di buon servizio pubblico venga relegato dove è meno visto, mentre RAIUNO contiene segmenti di insopportabile degrado.

Il problema non è la RAI in sé, bensì la cultura di servizio pubblico che l’azienda contiene, preserva e sviluppa. Che non pare sia gran cosa, visto che in RAI oggi si parla di media company ma si dimentica di aggiungere “di servizio pubblico”.

Realtà comunicativa e creatività

In una realtà comunicativa sempre più complessa e in sempre più rapida trasformazione, una media company di servizio pubblico deve sapersi reinventare continuamente, in un mix di pianificazione duttile delle strutture e di creatività nei contenuti prodotti. Come dire che oltre ai giornalisti e agli ingegneri occorrono anche gli autori, per quanto possano essere difficili da gestire.

Nulla scompare ma tutto si trasforma

Se, come è probabile, il futuro sarà di tante forze interagenti, se nessuna funzione svolta dai media nel passato scomparirà, ma cambierà volto mentre e altre se ne aggiungeranno, e assisteremo a una rimodulazione del loro svolgersi nel tempo secondo le esigenze dell’evoluzione storica… se sarà così, anche per il canale generalista di servizio pubblico, molto diverso da quello oggi noto, magari articolato territorialmente in modo dinamico.

Quanto è trascurato, oggi, il territorio!

Un servizio pubblico capace di fornire servizi concreti ai cittadini, dotato di palinsesto estremamente elastico, ricco di propaggini in rete e di dialogo con gli spettatori, attento al pluralismo ma capace di fare sintesi e di favorire la coesione sociale, di riequilibrare la collettività secondo principi di oggettiva utilità sociale, capace di gestire gli algoritmi per radicarsi nel web…

se sarà così potrebbe esserci un futuro per i canali generalisti di una media company di servizio pubblico, che credo sarebbe la forma più alta di ciò che ancora chiamiamo televisione.
Per il momento, però, non è dato vederlo.
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