La riflessione di Ivan Krastev, che è presidente del Center for liberal strategies di Sofia, e membro dell’Istituto di Scienze umane di Vienna, è stata pubblicata con grande evidenza dal Financial Times, in prima pagina. Quasi a sottolineare la complessità di una crisi, per la quale l’Occidente fatica a trovare la soluzione.
Oltre al terreno, in Ucraina, dove quotidianamente si affrontano e muoiono centinaia di esseri umani, esiste anche -secondo Krastev – un altro ‘battleground’, altrettanto importante, costituito dal cosiddetto ‘fronte interno’. Non solo gli Stati direttamente coinvolti nel conflitto, in primis, devono controllare gli umori della loro opinione pubblica. Ma anche i Paesi fiancheggiatori, che in qualche modo hanno preso posizione, devono fare i conti sperando di non sbagliarli. In particolare, devono valutare la sintonia con la quale i loro cittadini seguono le politiche del governo.
La ragione è chiara. L’aggressione della Russia sta portando distruzione, non solo a Kiev. L’orgogliosa resistenza ucraina, che si sta spingendo fino al martirio, dall’altro lato provoca anche indicibili sofferenze tra gli stessi difensori. L’economia occidentale barcolla, gli Stati Uniti sono politicamente spaccati, i ‘non allineati’ lottano disperatamente per restare a galla e il Terzo mondo affonda, sotto i colpi di una crisi economica che da “transitoria” si è fatta strutturale.
In una situazione di questo tipo, tutti i governi del pianeta devono dare delle risposte immediate, ma anche di prospettiva, alle loro popolazioni. L’analisi del politologo bulgaro è impietosa, ma drammaticamente realistica.
L’anno prossimo si voterà in Russia e anche in Ucraina. È, in linea di principio, non si può escludere nulla. Certo, Putin è un autocrate che controlla a bacchetta la piazza, ma nessuno può escludere che una rivolta contro di lui possa partire da forze di Palazzo. Ce n’è anche per Zelensky che, aggiunge Krastev, deve darsi da fare anche lui per mediare tra le forze, molto composite, che lo sostengono. Pare di capire che alcune delle posizioni ‘dure’ prese, recentemente, dal presidente ucraino, obbediscano anche a una logica da ‘fronte interno’. Probabilmente, qualsiasi trattativa diplomatica sull’ Ucraina sarà difficile, perché a decidere gli indirizzi di compromesso saranno tante, troppe teste. E, dall’altro lato, l’unica testa (pensante?) appare quella sempre più dura di Putin.
Ma, in cauda venenum, il politologo bulgaro piazza il suo più grande punto interrogativo sugli Stati Uniti, dove ormai la battaglia politica sta permeando ogni secondo della quotidianità. Finite le ‘Mid term’, sono già cominciate le grandi manovre per le elezioni presidenziali. E, per Krastev, l’Ucraina entrerà alla grande nella corsa per arrivare alla Casa Bianca. I Repubblicani non hanno stravinto al Congresso, solo perché si è messo in mezzo Trump. Di questo sono tutti convinti. Così, non sono riusciti ad acciuffare la maggioranza al Senato. Ma se la guerra in Ucraina dovesse andare male e prolungarsi, in un mattatoio senza fine, nel quale l’Occidente vuota un sacco e una sporta di soldi, allora nel 2024 i Democratici perderebbero di sicuro.
Per questo, sostiene Krastev, qualcosa di importante, per l’Ucraina, potrebbe cambiare a livello diplomatico nel 2023. Biden si ricandiderà? Difficile. Però, il fatto che stia cominciando ad ammorbidire i toni in politica estera può essere un indizio.
La Cina. Qui, secondo Krastev bisogna pensare in termini un po’ più articolati, quasi da Teoria dei giochi. Quale potrà essere la strategia di Xi Jinping? Beh, non è detto che la soluzione migliore per Pechino sia la pace subito, a Kiev.
Krastev sostiene che ai cinesi, in fondo, non dispiace vedere gli americani e il resto dell’Occidente praticamente insabbiati, per colpa della guerra voluta da Putin. Più il conflitto va avanti, potrebbe pensare Xi, e più Biden rischia di uscire dalla Casa Bianca con le ossa rotte.
Ergo: arriverà il momento in cui, se i Democratici vorranno rivincere le Presidenziali, dovranno per forza bussare al portone dei cinesi, offrendo più di quanto oggi siano disposti a fare. In fondo, per il vecchio Joe (Biden), Xi è sempre meglio di Trump.