Regno Unito grande malato d’Europa: Brexit, governi deboli ed economia traballante

Il Regno Unito resta sempre in trincea e i suoi abitanti stringono i denti, accovacciati per sfuggire all’intenso cannoneggiamento di una crisi lunga e impietosa. Aggravata da errori di ‘governance’ imperdonabili. Il 2022 è stato un anno ‘horribilis’ per il leone britannico. Simbolicamente, con la morte di Elisabetta II e sostanzialmente, con la pesante saldatura tra i ripetuti fallimenti dell’esecutivo e quelli della finanza pubblica.
Il bollettino è sempre quello diramato dagli “alti comandi” politici, ma soprattutto sociali ed economici, fino a qualche settimana fa.

Azzardo Brexit per troppa arroganza e poco buonsenso

Costretto a dimetterssi per il ‘party-gate’, con tanto di bicchierata, tenutasi in pieno lockdown al 10 di Downing Street, Boris Johnson à stato sostituito dall’ambiziosissima Liz Truss, laurea a Oxford ma spirito da biscazziere. La nuova premier si è subito tuffata in faraonici progetti d’investimento. Per rilanciare la crescita, nonostante l’arrivo di una galoppante inflazione. Risultato? Subissata da una valanga di critiche, ha dovuto fare marcia indietro ed è stata costretta a stracciare la sua ‘rivoluzione fiscale’, che prevedeva la cancellazione dell’aliquota di tassazione più alta (45%) sul reddito. Attaccata ferocemente dall’interno del suo stesso Partito conservatore, la Truss ha clamorosamente sconfessato il piano elaborato dal Cancelliere dello scacchiere (Ministro del Tesoro), Kwasi Kwarteng. Un progetto ‘per la crescita e lo sviluppo’ che lei stessa aveva voluto e approvato, pur sapendo che mancavano le necessarie coperture finanziarie.

Dopo Boris gli azzardi di vanity Truss

In meno di una decina di giorni, la sterlina è affondata, i tassi sui titoli del debito pubblico si sono impennati e le società di rating (Standard and Poor’s) hanno cambiato l’Outlook sul Regno Unito a “negativo”. Dopo che la sterlina è entrata in ‘sala rianimazione’ (con l’intervento della Bank of England), i timori sulla tenuta del sistema finanziario britannico sono diventati globali. Le nuove strategie economiche del duo Truss-Kwarteng sono subito apparse, a tutti gli analisti, quanto meno azzardate, se non proprio ‘surreali’. E quando sono andati a rischio default anche i Fondi pensione, la misura è stata colma. Così prima Kwarteng e poi Liz Truss hanno tolto il disturbo. I Conservatori hanno proposto come nuovo premier Rishi Sunak, un ex Cancelliere dello Scacchiere.

Un cumulo di macerie

Evidentemente, la lingua batte dove il dente duole, perché la Truss, dopo la sua carica finanziaria, che ricordava quella degli ulani polacchi contro i carri armati tedeschi, ha lasciato una scia di macerie. Il Pil, che era previsto dall’Economist Intelligence Unit al 4,4%, si fermerà al 2,4% e nell’ultimo quarto è andato in recessione dello 0,7. Il tasso di disoccupazione è buono (3,7%), ma il prezzo da pagare è un ‘contibuto’ all’inflaziome, che tocca il 10,7%. E questo nonostante i ripetuti interventi della Bank of England, che ha portato il tasso di riferimento al 3%. Note dolentissime sul versante della contabilità nazionale: il deficit di bilancio su Pil (-6,6%) è il più alto tra quelli dei Paesi industrializzati e lo stesso dicasi della bilancia dei conti correnti (-5,9%). In cauda venenum, c’è il dato sul deprezzamento della sterlina rispetto al dollaro (-6,3%).

Economist, luci e ombre

L’Economist fa un’analisi storica, cercando di interpretare il momento difficile vissuto dal Regno Unito. Cita il premier Gordon Brown e le sue orgogliose parole, nel 2007, sulla ricchezza del Paese. Allora il 56% della popolazione si dichiarava soddisfatto del suo tenore di vita, mentre oggi questa percentuale non arriva al 28%. Forse, ipotizza ‘the bible’, l’antica forza dell’Inghilterra, la sua posizione geografica e il suo dominio dei mari, paradossalmente, sono diventati un po’ la sua debolezza. Non ha saputo scegliere tra una vocazione atlantica (Nordamerica), una mondialista (Commonwealth) e una europea. Così è rimasta in mezzo al guado. Tutte le statistiche economiche dicono che, negli ultimi 15 anni, ha fatto peggio di Francia e Germania e degli altri Paesi anglofoni d’oltremare. È ridiventata ciò che era una volta: un’isola.

Ora un ‘leader di speranza’

In un ‘leader’ di speranza, l’Economist scrive: “E se le cose in Gran Bretagna andassero bene l’anno prossimo? La stabilità politica, il riavvicinamento all’Europa e un mercato del lavoro più rilassato sarebbero tante belle sorprese”. Occhio, perché qui si menziona chiaramente uno dei fattori che hanno trasformato, negli ultimi anni, la società britannica: la Brexit. Un’analisi disaggregata, condotta dal Financial Times, ci fa scoprire il suo peso sulle fibrillazioni politiche del Paese. E spiega perché aree operaiste fino al midollo abbiano dato il loro voto, nel 2018, al Partito Conservatore. La paura di essere ‘invasi’ progressivamente da lavoratori, capitali e merci continentali, ha spinto molti elettori laburisti a tradire il loro partito. Per poi essere ‘traditi’ dai Tories.

La Brexit, insomma, cavalcata dai Conservatori, si è rivelata solo uno scatolone vuoto di promesse elettorali. E ora i Tories cominciano già a temere di perdere, alle elezioni del 2024, tutte quelle aree di sinistra dove avevano sfondato il cosiddetto ‘Muro rosso’.

Il grande malato d’Europa

Certo, il dibattito s’infiamma mentre la casa brucia. Il ‘grande malato d’Europa’, il Regno Unito, ha un’unica istituzione veramente credibile e affidabile: la Banca d’Inghilterra. Il resto sembra un film ambientato in qualche repubblica bolivarense. Partiti che si fronteggiano aggressivamente, spaccati sanguinosamente al loro interno e divisi a loro volta in clan territoriali e gruppi d’interesse.

Il Financial Times, lapidariamente, parlando della ‘qualità della politica inglese, riporta i pareri di diversi elettori sui due leader, Rishi Sunak? Ancora nessuno ha capito se è carne o se è pesce, mentre il laburista Sir Keir Starmer è sicuramente un pesce. Ma senza sangue.

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