La Siria di Assad riaccolta nella Lega Araba, in sfregio agli Stati Uniti

La Siria che torna nella Lega Araba e diventa simbolo delle nuove distanze tra il mondo arabo e i sempre meno amati alleati occidentali. Di fatto a Washington non sanno se e come andarsene da quel pantano, senza il bis fella catastrofe Afghanistan. Ma il vuoto di potere si sente e viene colmato da altri. Cina e Russia già in campo.
E a poco nota storia del ‘Captagon’ la droga siriana usata in guerra per togliere la paura pronta ad invadere l’occidente.

 

Gesti politici a ripetizione, per chi voglia intendere

La Lega Araba, riunitasi in seduta straordinaria, al Cairo, ha deciso di riammettere tra i suoi membri Damasco e Bashar al-Assad, il chiacchieratissimo Presidente-padrone, che l’Occidente avrebbe voluto vedere già da un pezzo in esilio, se non in qualche galera. La decisione, che dal punto di vista operativo non conta molto, sotto l’aspetto geopolitico, invece, è un altro formidabile schiaffo alla Casa Bianca e all’Europa. Entrambe incapaci di organizzare una ‘realpolitik’, che abbia un minimo di decenza, con l’universo arabo e, per capirci, con i Paesi grandi produttori di petrolio.

Tra prepotenza e superficialità Usa

Molti specialisti di politica estera, sono semplicemente esterrefatti per la superficialità diplomatica, che gli Stati Uniti stanno dimostrando, negli ultimi anni, nella macro-area di crisi che va dalla Libia fino al Golfo Persico. Né la soluzione migliore può essere quella di mostrare, perpetuamente, le bandiere della 5ª flotta dell’US Navy, di stanza in Bahrein. Insomma, anche, questa storia di relazioni internazionali ‘arruffate’ e non ben programmate, dimostra come l’Occidente non abbia più, con i ‘non allineati’, il potere contrattuale di cui godeva prima.

Basti solo pensare che gli arabi, per riammettere la Siria senza scontentare Washington, avevano cercato la mediazione della Giordania, cioè di uno Stato ‘alleatissimo’ degli americani, come Qatar e Kuwait.

La mancata benedizione del Padre padrone

Giovedì scorso il Ministro degli Esteri di Amman, Ayman Safadi, ha chiamato Blinken, al Dipartimento di Stato, per spiegargli il tema della riunione straordinaria della Lega in Egitto, e chiedergli la sua ‘benedizione’. Che non è arrivata (e non poteva arrivare) perché Biden è contrario al ritorno della Siria nella Lega Araba, ovviamente fino a quando ci sarà Assad. Il comunicato del Dipartimento di Stati Usa parla di ‘democrazia e diritti umani’. Giusto. Blinken però non dice quello che tutto il mondo sa: tra i 23 Paesi della Lega Araba, amici di Washington e dell’Europa, almeno la metà ha ‘problemi’ (usiamo un eufemismo) di questo tipo.

Qualcuno, però, comincia a dire altro. Forse, alla Casa Bianca, si sono concentrati troppo sull’Ucraina e hanno perso di vista il resto del pianeta?

Cina e Russia in Medio Oriente

Nel confronto con Xi Jinping stanno reagendo, in quello in Medio Oriente, invece, ci stanno pensando russi e cinesi a svegliarli. Pechino e Mosca sono entrate nel ‘risiko’ diplomatico della regione, come partner commerciali e in funzione di mediatori e ‘garanti’. Insomma, dietro il ritorno all’ovile di Assad nella Lega Araba, ci sono motivazioni che portano più lontano e che non sono tutte beneauguranti per l’Occidente. Tra le altre cose, va ricordato che l’esclusione della Siria (per ‘punizione’) risale al 2011, all’epoca delle Primavere arabe, tutte rapidamente sfiorite.

Arma sanzioni bersagli indiscriminati

Da allora, il nodo scorsoio delle sanzioni economiche non ha fatto cadere il regime di Assad, ma ha strangolato la popolazione. Un terzo dei siriani è scappato per il primo degli effetti collaterali della guerra: la fame. Oggi si calcola che il 90% degli abitanti viva al di sotto della soglia di povertà. Assad sa che i rifugiati siriani sono un problema per le nazioni vicine, e li utilizza per alzare le sue richieste. Ci sono oltre 7 milioni di rifugiati all’estero, di cui 3,6 in Turchia, 1,8 in Giordania, 1,5 in Libano, 260 mila in Irak. Indeterminato il numero di quelli che si sono stanziati in Arabia Saudita, anche se stime approssimative parlano di una cifra compresa tra 700 mila e 2,5 milioni. Infine, gli ‘internally displaced’, cioè degli sfollati che non hanno più una casa, ma che sopravvivono all’interno della Siria, perché non hanno ancora avuto la possibilità di lasciare il Paese. In tutto, costituiscono una massa di 6,8 milioni di persone.

Tra pace e droga le alternative siriane

Naturalmente, ci sono pressioni perché si chiuda formalmente la guerra e si cominci la ricostruzione, secondo la risoluzione Onu 2254. Ma i problemi sono enormi e, spesso, di natura sorprendente. Non tutti sanno, ad esempio, che la voce principale dell’export siriano è una droga, il ‘Captagon’, che finora avrebbe fruttato qualcosa come 60 miliardi di dollari. Fare la pace con Assad, significa anche demolire questo gigantesco narcotraffico, e gli americani temono che non sia possibile.
Volendo, la Siria potrebbe inondare l’Europa di droga a prezzi stracciati e mettere tutti nei guai.

Paradossalmente, dicono gli analisti, in questo momento è il tanto discusso Presidente siriano che, addirittura, può dettare alcune condizioni. Forse, sarebbe il caso di non farlo parlare solo con cinesi e russi.

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Le droghe in guerra per togliere la paura

Le anfetamine usate dai terroristi dell’Isis sono solo le ultime di una lunga serie di sostanze usate in guerra per togliere le inibizioni, sconfiggere la paura, sopportare la fatica e innalzare la soglia del dolore. Dai nazisti ai soldati vichinghi, passando per Vietnam e Afghanistan, la una lunga tragica storia della chimica al fronte. Compresa la grappa dei nostri nonni e bisnonni nelle trincee della prima guerra mondiale per andare ubriachi a farsi ammazzare.

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