Sul filo di questi versi di Pier Paolo Pasolini affronto il mio tempo. Il tempo che passa, il tempo che resta, quello che fugge, scava, risuona, di memorie che sono sangue e attraversano le epoche, di nomi, cognomi, azioni, passioni, fughe, resistenze, matrimoni e lutti. Un filo rosso di attenzioni e mutazioni, che procede e si inchioda a questo momento, tra canto e incanto. Un respiro a nulla. Un soffiare nel Dio. Un vento. Noi siamo le madri e i padri, le madri dei padri e delle madri. I figli, i sogni, i destini che ricamano le nostre vite.
Oggi è domenica, domani si muore. Oggi mi vesto di rosso e d’amore.
Una musica rimane nell’aria, in una sospensione che non so dire. In un tacere, dove non si deve dire. Come un sorriso triste, un dipingere lento colori, odori, rilievi, dolori.
Il verso cambia, la seta diventa un colore intinto nel rosso come un ricordo, una bandiera. Si scava la sua trincea in un tempo diverso. Lascia che sia uno straccio fiorito a sventolare, a ricordarci che questo è il fiore. A farsi dimenticare, a sfiorire lasciando il coraggio a pezzi.
Nel teatro dell’inutilità, che si fa arena di tutto il possibile, risuonano le parole di una canzone che porta nel cuore un tuffo poetico, un soffio di pietra. Sembra una vecchia foto ritrovata, sbiadita dal tempo, stropicciata da dita d’amore e baci. Ed è questo quel tempo. Proprio questo.
Mi trovo imbarazzato, sorpreso, ferito. Per un’irata sensazione di peggioramento. Di cui non so parlare né so fare domande.
Volgere il viso al tempo che fu, dell’amore e della speranza, della gioia che si fa coscienza politica, pietrifica lo sguardo.
Spaesati, incerti, vestiamo le parole di seta e d’amore, la poesia distrugge il dominio della morte. Non abbiamo altre armi se non queste.