«Una lunga fila di camion di soccorso bloccati da un lato del cancello, e la lunga ombra della fame dall’altro lato. Questo è più che tragico, è un oltraggio morale», ha detto il Segretario generale dell’Onu.
Dopo cinque mesi e mezzo di guerra devastante nella Striscia di Gaza, che l’ha fatta sprofondare in una situazione umanitaria catastrofica, Guterres si è recato sul lato egiziano della città di confine di Rafah, dove ha detto di essere venuto per attirare l’attenzione sul «dolore degli abitanti di Gaza, intrappolati in un incubo senza fine».
La conferenza stampa in mezzo al deserto di Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni unite dietro l’arco che separa l’Egitto da Gaza. «Segno plastico e terribile, dell’impotenza», denuncia Chiara Cruciati sul Manifesto. Il segretario generale delle Nazioni unite impotente, è volato fino ad Al Arish, e poi a est verso il valico di Rafah a chiedere: «Non abbiamo il potere di fermare la guerra. Chiediamo di farlo a chi quel potere ce l’ha». Ad accompagnarlo c’era il governatore egiziano della Penisola del Sinai, Mohammed Shusha, e una processione di camion di aiuti senza fine apparente. Erano 1.500 quelli in attesa fino a un paio di settimane fa, ora secondo Shusha sarebbero 7mila. Giovedì ne sono entrati 35, venerdì nessuno, ieri neanche.
È quel numero, e quell’inutile attesa a poche centinaia di metri da Gaza, che ha fatto parlare Guterres: «Qui vediamo lo strazio e la crudeltà di tutto ciò. Una lunga fila di camion umanitari bloccati su un lato del cancello, l’ombra lunga della carestia sull’altro». È un «oltraggio morale», dice il segretario generale: «I palestinesi di Gaza, bambini, donne e uomini, vivono dentro un incubo infinito. Porto la voce della grande maggioranza del mondo che ne ha avuto abbastanza».
Parole durissime rivolte a chi quei camion li rallenta o li rimanda indietro: «Niente giustifica la punizione collettiva del popolo palestinese», dice Guterres. Rapida la risposta israeliana, per bocca del ministro degli esteri Katz che ha definito l’Onu «organizzazione antisemita, anti-israeliana e sostenitrice del terrorismo». Su Katz e sul suo governo gli aggettivi che sorgono dentro ognuno di noi sono irripetibili.
Non va meglio ai camion che sono riusciti ad attraversare il valico israeliano di Kerem Shalom, a est della Striscia, secondo quanto denuncia Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, che ieri ha scritto che a un convoglio di cibo dell’Unrwa è impedito di raggiungere il nord di Gaza, dove è ormai accertata la realtà di una gravissima carestia. Ed è la seconda volta in una settimana, dice Lazzarini. Piano preordinato quindi. Stereminio per fame dopo le bombe?
Atto organizzato di ‘guerra umanitaria’ quei camion in attesa da settimane nel deserto egiziano, camion senza autorizzazione a passare oltre Wadi Gaza. E cibo preso di mira dal fuoco israeliano. È successo ancora una volta alla rotonda Kuwait di Gaza City: «missili sulla folla di affamati assiepata per ricevere un po’ di cibo. Almeno nove gli uccisi, in quello che è diventato un punto di riferimento primario per la distribuzione di aiuti. Era andata peggio il 29 febbraio scorso, quando nello stesso luogo di palestinesi ne erano stati ammazzati 80».
Si muore anche dentro lo Shifa, il più grande degli ospedali di Gaza, segnala sempre Chiara Cruciati. Al sesto giorno di assedio israeliano, hanno perso la vita cinque feriti per l’impossibilità di ricevere cure adeguate. Non c’è cibo, non c’è acqua e i bulldozer israeliani proseguono nella distruzione del compound. Tel Aviv ieri ha aggiornato il numero di uccisi e arrestati dentro lo Shifa, tutti ‘miliziani di Hamas’ secondo l’esercito israeliano: oltre 170 i morti, 800 i sospetti detenuti. I palestinesi insistono: sono civili.
«L’intera area è stata trasformata in un campo di battaglia – riportava ieri il corrispondere di Al Jazeera, Hani Mahmoud – Intorno allo Shifa l’esercito israeliano sta sistematicamente appiccando incendi agli edifici. E continua a operare con violenza all’interno, danneggiando equipaggiamento medico». Immagini catturate da video girati nei dintorni dello Shifa mostrano le fiamme avvolgere le case, svuotate dai loro abitanti, cacciati o arrestati – dice la stampa presente.
Più a sud, al confine con l’Egitto, a poca distanza da dove Guterres ha lanciato il suo appello, cadono ancora le bombe. Nelle ultime 24 ore Rafah è stata colpita più volte da droni armati. Nei quartieri est della città un missile ha sfondato una palazzina in cui una famiglia di sfollati aveva creduto di trovare rifugio. Cinque uccisi, tutti bambini, sette i feriti portati all’ospedale al-Najjar. Numeri che aggiornano il bilancio delle vittime dal 7 ottobre, oltre 32.120, a cui si aggiungono quasi 74.500 feriti.
Il segretario di stato Usa Antony Blinken ripartito da Israele col messaggio chiarissimo di Netanyahu (offensiva terrestre su Rafah con o senza il sostegno statunitense), le pressioni maggiori sembrano arrivare dal fronte interno con nuove proteste contro il governo e per elezioni anticipate (due manifestanti arrestati a Cesarea), mentre centinaia di palestinesi cittadini israeliani hanno partecipato al corteo per il cessate il fuoco nella cittadina di Majd al-Krum.
Sul cessate il fuoco, lunedì il Consiglio di Sicurezza Onu, tra veti contrapposti che paralizzano la dignità e credibilità stessa dell’organizzazione, consentendo al ministro estri israeliano di dire ciò che ha detto, e a Natanyahu di continuare a fare quello di cui via abbiamo raccontato. Sulla questione anche morale che investe anche la presidenza Biden, decideranno a novembre gli elettori Usa, in una alternativa decisamente non invidiabile.