
«La tassa sugli extra-profitti è un’imposta applicata alle aziende che generano un aumento significativo dei loro guadagni a causa di circostanze o eventi di cui non sono responsabili, come nel caso dell’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia (gas ed elettricità) per le conseguenze della guerra russa in Ucraina».
Il contributo di solidarietà (la tassa sugli extraprofitti) delle grandi società che producono, importano o trasformano energia, dev’essere non solo “raccomandato” dalla Commissione, ma anche accompagnato da regole chiare ed efficaci. Cioè ripensato e applicato con intelligenza per far funzionare questa misura di equità sociale. Dalle prime valutazioni, in Italia, sembra essere stata un vero buco nell’acqua: forse 2 miliardi complessivi sui 10 previsti. Ma anche la Germania, energeticamente con l’acqua alla gola, ha lanciato la crociata contro gli extraprofitti.
Secondo Scholz, le società che impiegano eolico, solare, biomassa, carbone e nucleare devono pagare di più e il ricavato della tassazione va “spalmato” sul totale delle bollette, per abbassarne l’importo. Il Financial Times nel presentare la rivoluzione fiscale tedesca nel settore energetico, scrive che questa “è in linea con le raccomandazioni della Commissione europea: Bruxelles suggerisce agli Stati membri di prelevare una quota degli utili gonfiati generati da alcuni produttori di elettricità. E in attesa di qualche indicazione più chiara, ognuno fa da se.
Ma il Financial Times pone un problema ignorato dai più: perché i produttori europei di elettricità oggi rischiano fallimenti a catena? Domanda sorprendente, viste le bollette che ormai circolano. Ci si aspetterebbe un trend all’ingrasso di tutti i gestori, messi in orbita dai prezzi di gas e petrolio. E invece no, così dicono loro. Perché la complessità delle transazioni di mercato, rafforzata da un’ottusa burocrazia, sta facendo andare tutto il settore in crisi di liquidità.
Per essere più chiari, chi produce energia elettrica in Europa incasserà certamente, in futuro, una barca di soldi. Ma intanto deve pagare, immediatamente, miliardi di euro di quelle che potremmo definire, semplificando il concetto, “garanzie assicurative”. Si tratta di una specie di “tassa” (più correttamente un “premio di rischio”), che a volte devi sborsare “overnight”, cioè in 24 ore. Quando ti mettono davanti all’out out: o paghi o paghi.
C’è chi ha già etichettato questo scenario come la “sindrome Lehman Brothers”, dal nome della grande banca americana colata a picco in un paio di giorni. Quindi, il paradosso è che i “Paperoni” dell’elettricità, che sulla carta stanno diventando straricchi, nei fatti rischiano l’osso del collo, perché i regolamenti gli impongono di pagare “cash”. E loro non hanno liquidità. In definitiva, vantano un mare di crediti, ma affogano nelle scartoffie dei soldi che dovranno incassare, quando sarà.
Già l’allarme è suonato in Finlandia, Germania, Francia, Svezia e in diversi altri Paesi. Finora le banche hanno erogato liquidità in modo consistente. Ma ora basta. Troppo volatili i mercati, dicono, e troppo elevati i rischi. Ci pensino i governi ad anticipare il “liquido”. Oppure intervenga l’Unione e cambi le regole e faccia chiarezza anche nella tasche delle multinazionali.