Europa, minacce temute e Difesa da inventare. ISPI su costi e possibilità

Il vecchio continente si è scoperto vulnerabile con la guerra in Ucraina a pochi chilometri dall’UE, e ora deve fare i conti con il disimpegno americano dalla difesa europea, ventilato nel megafono elettorale di Trump e ormai parte del dibattito elettorale USA che guardano all’Indo-Pacifico, rileva su Ispi Antonio Missiroli.
Ma una difesa europea comune non si improvvisa e, se da un lato l’apporto degli Stati Uniti rimane indispensabile per la deterrenza, dall’altro i Paesi membri dell’UE devono almeno indirizzare meglio la spesa militare, definendo un ruolo condiviso di ‘direttore d’orchestra’ per Bruxelles, partendo dalla ricerca e dall’industria per la sicurezza. Una doppia sfida per la nuova Commissione.

«Freedom isn’t free»

‘La Libertà non è gratuita’ era un vecchio slogan popolare negli Stati Uniti durante la guerra di Corea, che oggi, dopo due anni di conflitto in Ucraina e l’ipotetica minaccia russa accoppiata ad un possibile disimpegno americano dall’Europa, tende ad assumere un nuovo significato. Leadership politica sempre più discussa e appoggio economico e militare di Washington incerto, mentre l’attenzione dei vertici americani sembra spostarsi altrove, dal Medio Oriente all’Indo-Pacifico.

Nato da reinventare

L’Alleanza Atlantica continua ad essere il «deterrente e assieme il bersaglio» contro una aggressività russa molto discussa. Dato di fatto, 80.000 soldati e numerose basi statunitensi sul ‘teatro europeo’, oltre al ruolo NATO in armi nucleari tattiche, intelligence e logistica.

La guerra in Ucraina e i numeri europei

Entro la fine di quest’anno, 18 paesi NATO su 31 (appena cinque pochi anni fa) rispetteranno l’obiettivo del 2% del PIL in spese per la difesa fissato nel 2014, ai tempi dell’Ucraina di Maidan, Donbass e Crimea. Lo farà per la prima volta anche la Germania (‘fondo speciale’ di 100 miliardi di euro su 4 anni), mentre fra i più importanti, solo Italia e Canada ne restano al di sotto.

Iper spesa militare dall’Ucraina 2014

I Paesi europei della NATO (incluse quindi Gran Bretagna, Turchia e Norvegia) sono passati da una spesa di 230 miliardi di euro nel 2014 (Maidan e Crimea) ad un totale di 380 per il 2024 -150 miliardi in più-, mentre per i soli Paesi UE – dati dell’European Defence Agency (EDA) – la crescita rispetto a 10 anni fa è del 40%. Negli ultimi tre anni il contributo nordamericano (Stati Uniti e Canada) è sceso dal 28,5 al 23 %, mentre quello dei membri UE è salito dal 55 al 60%, su un totale annuo di circa 2.5 miliardi di euro .

Rivelazioni a sorpresa

I piani di difesa strategica approvati dalla NATO al vertice di Vilnius dell’anno scorso prevederebbero -scrive Ispi, e nessuno ce lo aveva mai raccontato-, un aumento dell’impegno militare degli europei che richiederebbe un obiettivo di spesa attorno al 3% del PIL.

Difesa UE dopo Brexit

Nell’Unione Europea, la ‘difesa comune’ non fa neppure parte del suo mandato costituzionale. L’articolo 42 del trattato di Lisbona cita soltanto le missioni (civili e militari) di mantenimento della pace e stabilizzazione post-conflitto ‘al suo esterno’.  E tali sono state le 30 e più operazioni condotte dall’UE nei vent’anni scorsi – ma non la protezione militare del suo territorio e dei suoi cittadini, anche se una ‘difesa comune’ può essere decisa dai suoi leader (all’unanimità).

‘Autonomia strategica’ del nostro litigare, ma a comando Usa

Perfino la controversa «autonomia strategica» su cui ci si è divisi negli ultimi anni si riferirebbe solo a queste attività ‘esterne’, e lo stesso «esercito europeo» evocato da alcuni non è mai stato un’alternativa alla NATO. Il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa, poi affondato nel 1954 dall’Assemblea nazionale francese, prevedeva che fosse sottoposto comunque al comandante supremo delle forze alleate (e americane) in Europa.

L’Unione come il Vaticano, senza Divisioni

L’Unione in quanto tale non ha proprie basi o Divisioni (una celebre battuta di Stalin sulle divisioni del Papa), e non ha neppure un suo bilancio militare (vietato dai trattati): anche se i suoi membri spendono per la difesa, collettivamente, tanto quanto Mosca. Ma il loro ‘rendimento strategico’ sembrerebbe di gran lunga inferiore alla somma delle sue parti, senza contare -valutazione degli esperti di apocalisse-, che le circa 500 testate nucleari della ‘force de frappe’ di Parigi (mai messa esplicitamente a disposizione di alleati o partner) potrebbero, comunque, ben poco contro le oltre 5.000 dell’arsenale atomico di Putin.

La potenza industriale europea

Dove l’Unione può invece fare una differenza è sul fronte industriale di produzione, investimenti e ricerca. «Gli shock degli ultimi anni (Brexit, Trump, Ucraina) -scrive Ispi-, hanno spinto l’UE a creare l’European Defence Fund, con investimenti congiunti in ricerca e sviluppo militare (circa 10 miliardi di euro per il periodo 2021-27 a cui vanno aggiunti gli 800 milioni decisi nel 2023 per la produzione e l’acquisizione di munizioni nel 2024-25)».

European Defence Industrial Strategy

E proprio in questo inizio marzo la Commissione dovrebbe presentare una «European Defence Industrial Strategy» per il prossimo ciclo istituzionale (2024-29) e di bilancio (2028-2034) che potrebbe comprendere un programma da 100 miliardi di euro, e la cui ‘messa in opera’ potrebbe essere affidata ad un nuovo Commissario ad hoc (un altro ‘Alto commissario’, ora alla Difesa).

European Peace Facility

Fuori dal bilancio comunitario, i 27 hanno creato la European Peace Facility, per finanziare diversi tipi di spesa militare, compreso un parziale rimborso ai Paesi membri che forniscono mezzi a Kyiv (oltre 5 miliardi per una falsa generosità mai svelata). Altra sorpresa, un pacchetto addizionale di 20 miliardi per la sola Ucraina dovrebbe essere adottato sempre il mese prossimo.

Ma i soldi da soli (già troppi) non bastano

La presidente della Commissione uscente (ora anche candidata alla propria successione) Ursula von der Leyen – per i suoi critici ‘Von der Nato’ e a suo tempo ministra della difesa a Berlino – in un’intervista al Financial Times: «we have to spend more, to spend better, and to spend European». Spendere di più, meglio ed europeo, ma come? L’impossibile che le spese militari dei singoli 27 possano integrarsi, invece che sovrapporsi inutilmente.

La lezione dei vaccini e del gas

La capacità e la volontà degli europei di spendere, investire ed acquisire congiuntamente, come fatto negli anni scorsi con i vaccini e il gas. E incentivi da inventare, verso l’impossibile «cooperazione industriale transnazionale europea nel settore degli armamenti». Ma ‘i miei cannoni sono sempre migliori dei tuoi’. E soprattutto, vince quasi sempre l’armamento di fabbricazione americana, e non dev’essere un caso.

I pochi programmi congiunti

I Pochi i programmi cooperazione industriale militare su iniziativa o con fondi UE, al momento non corrono (citato il cosiddetto Euro-drone, ancora in fase di sviluppo. Quelli iraniani o cinesi costano molto meno a fanno molto male), con ritardi di produzione e lievitazioni di costi. Trovare un equilibrio fra gli interessi di nazioni e imprese grandi, medie e piccole, fra competenze comunitarie e nazionali, e sviluppo di nuove capacità strategiche è, insomma, la sfida verso l’impossibile.

Se davvero la sfida russa esiste e non fa parte delle strategie ideal-politiche delle nuova ‘guerra fredda planetaria’ che soffia tra gli oceani che contano, con l’Europa potenza marginale chiamata a dare il suo obolo di appartenenza occidentale guardando alla lontana Cina.
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