
«Non ci sono più reclute per alimentare la guerra». Per gli 007 norvegesi, russi e ucraini sono al capolinea, segnala Francesco Palmas su Avvenire. E i numeri forniti sono da brivido.
In 19 mesi di battaglie, l’Armata Rossa ha pianto non meno di 2mila ufficiali, irrimpiazzabili come i fanti, morti a migliaia. Si parla di 120-200mila caduti in tutto. Il Cremlino ha grossi problemi e ogni mese, passa ai volontari di truppa non meno di 5mila euro, il triplo di quanto guadagna un impiegato civile. Ma i soldi non fanno tutto. «Solo i ceti delle regioni più svantaggiate della Federazione rispondono ancora all’appello: si arruolano per comprare casa e metter su famiglia, non certo per denazificare l’Ucraina o sconfiggere l’Occidente».
Le retrovie sono sempre più disincantate, aggiunge Parlmas. L’istituto sondaggistico Levada riduce al 30% la popolazione ancora favorevole alla guerra. E le madri dei troppi ragazzi che non tornano a casa cominciano a insorgere. Sordo alle tante sirene d’allarme, il Cremlino al momento sembra ignorare il malcontento montante e sta aumentando il bacino dei coscritti, l’età dei riservisti e il mercenariato militare.
Le cose non vanno meglio per Kiev che, a fine luglio, è stata costretta a silurare i responsabili del reclutamento militare, intenti a trafficare esenzioni dalla leva in cambio di tangenti. Il nazionalismo non smuove più giovani, nemmeno in Ucraina, e la guerra non fa più eroi ma paura. «Tutti cercano scappatoie da una morte certa o da una vita da invalidi. Chiedete ai caduti dell’ultimo giorno di scontri: i russi rivendicano di aver ucciso in 24 ore non meno di 540 ucraini». E le testimonianze di fonte occidentale parlano di un’impennata recente dei morti ucraini, tipica delle offensive claudicanti.
La Bbc ha nel Donetsk l’inviato Quentin Sommerville: dai suoi reportage emergono «pile di cadaveri straziati, ricomposti giornalmente in un gigantesco obitorio a ridosso del fronte».
Da febbraio 2022, Kiev conterebbe già 70mila morti e 120mila feriti. E che i morti siano tanti lo testimonia la giornata commemorativa del 29 agosto, in cui l’Ucraina piange i caduti in battaglia. Non c’è più margine. Il bacino di reclutamento si sta prosciugando: «da almeno un anno, l’esercito di Zelensky non cresce più», confida il generale d’armata Jacques Langlade de Montgros, direttore dell’intelligence militare francese.
Senza dove scomodare gli 007, è lo stesso campo di battaglia a tradire le difficoltà. «Kiev non riesce più a concentrare forze superiori al nemico in nessuno dei 1.000 chilometri di fronte. La coperta si è fatta talmente corta che gli ufficiali euro-americani, giunti in Polonia nei giorni scorsi, hanno intimato ai generali ucraini di redigere piani di battaglia più realistici: niente più voli pindarici ma azioni circoscritte al solo quadrante meridionale, il meno problematico». In due mesi e mezzo di controffensiva gli ucraini hanno smosso il fronte di appena 10 chilometri.
E ora Zelensky cambia repertorio comunicativo interno e parla di una ‘smilitarizzazione della Crimea’ e non più di riconquista, di fatto inarrivabile.