Alzando il calice ai vignaioli indipendenti

La terra in cui vivo ho cominciato ad amarla lentamente.

Lo so che affascina a prima vista, con il suo paesaggio disegnato sull’orizzonte e i cipressi solitari a catturare sguardi. Lo so che è una cartolina perfetta, e ogni luogo famoso è iconico, super fotografato, celebrato e perfetta location per matrimoni, eventi di banche, safari fotografici e bagnetti in piscina con vista sul patrimonio Unesco.

Ma non è questa la parte che mi ha conquistato. È un aspetto che funziona per molti e non per molto, ma niente più.

Nel tempo ho compreso che sono i paesaggi umani a rendere la Val d’Orcia un miracolo. Sono le persone che sanno fondere bellezza e semplicità. Sono le donne e gli uomini capaci di amicizia pura. Sono gli artisti contadini come Emo Formichi, gli anonimi filosofi costruttori di muretti a secco, i poeti a braccio che mantengono viva la memoria del popolo, non cedendo un millimetro al format mediatico vincente che ci seppellisce, ci rende occasionalmente intrusi nel racconto d’altri.

Rapporto tra fatica e cultura

Ho appreso negli anni che qui c’è qualcosa di speciale nel rapporto tra fatica e cultura, nel rispetto per lo sconosciuto viandante che passa, nella cura per il poco e per il niente. Nell’essere umili mentre ovunque furoreggia la superbia degli inutili. Umili, umani, legati alla terra. Superbi, invece, che hanno rotto il vincolo dell’umanità.

Mi piace ricordare che l’incanto di queste terre non è dato dalle storie di realizzazione, dai successi di chi investe.

Il paesaggio umano dà il segno della nostra cultura, mostra il valore della comunità, di una comunità che non deve cedere alla devastazione del tempo, alla furia mediatica della bruttezza. Perché intorno a noi è tutto un inno alla mediocrità accessoriata, allo scintillante falso che, a dire dei furbetti, migliora il vero. Quando la verità è di una perfezione strabiliante. È patrimonio materiale e immateriale nello stesso tempo, memoria, radici e futuro.

I poeti e i contadini

Per questo amo i poeti e i giardinieri, gli attivisti, i guardiaparco e i contadini, quelli che hanno sapienza nelle mani e la cultura la coltivano, metaforicamente o materialmente. Per questo amo l’incontro come dono, come possibilità per far crescere relazioni. E in questa domenica vestita di rosso e d’amore alzo il bicchiere ai nostri vignaioli indipendenti della magnifica terra, che lo sanno. E vivono e lavorano senza perdere di vista la semplicità, la passione, la sovversione.

Ne avremo bisogno, in futuro, per non perdere speranze e per continuare a pensare che sarà necessario un giorno liberare anche gli schiavi che si sentono liberi.

 

 

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