
Questa è la versione che dà il prestigioso quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, che si basa su ‘fonti confidenziali’ dei Servizi segreti dello Stato ebraico. Gli israeliani davano la caccia a un palestinese armato che, secondo loro, era stato individuato sul camion che accompagnava i rifornimenti in magazzino. All’uscita, qualcuno ha pensato che nel piccolo corteo di vetture, su cui si spostavano i cooperanti, ci fosse anche il presunto terrorista. «Le auto – precisa Haaretz – viaggiavano lungo un percorso pre-approvato e coordinato con l’esercito israeliano. A quel punto, la war room dell’unità responsabile del controllo di sicurezza, ha ordinato a un drone (probabilmente un Hermes 450), che seguiva le vetture, di colpirne una». E questo, è bene sottolinearlo, nonostante i veicoli fossero contrassegnati, con grande evidenza, con i loghi e le iscrizioni di appartenenza all’organizzazione umanitaria World Central Kitchen.
Il racconto di Haaretz prosegue con un’ulteriore incredibile mossa degli israeliani: i cooperanti feriti dal primo missile, sono stati colpiti di nuovo, dopo essersi trasferiti in una seconda auto. E tutto questo mentre, telefonicamente, segnalavano all’IDF la loro situazione di emergenza. Ma non è finita qui. La terza vettura, nonostante la situazione di estremo pericolo, è tornata indietro e si è avvicinata per dare soccorso ai compagni. Alcuni dei quali erano forse già morti. Ma i superstiti non avevano nemmeno avuto il tempo di completare il trasbordo, che è arrivato un terzo missile, completando la carneficina. Si è trattato, dunque, di un triplo attacco, svoltosi a distanza di tempo e di spazio. Anche se non è possibile, per ora, quantificare queste due variabili.
Ma il resoconto del giornalista Yaniv Kubovich, agghiacciante, è talmente dettagliato da far sorgere seri interrogativi sull’affidabilità e sulla correttezza dell’IDF, l’Israel Defense Force. Il fatto è un tale boomerang per l’immagine del Paese, che gli stessi vertici governativi hanno dovuto ammettere le loro responsabilità, scusandosi e attribuendolo a non meglio precisati «difetti di comunicazione». Lo ha detto il premier Benjamin Netanyahu e lo ha ripetuto il Capo di Stato maggiore dell’IDF, Hertzl Halevi. Assieme all’ormai consueta tattica utilizzata dagli israeliani in questi casi: «Apriremo un’inchiesta approfondita». E invece, questa volta, l’inchiesta abbastanza approfondita l’ha aperta un foglio liberal come Haaretz, che difende la democrazia israeliana.
Uno dei report che il giornale dedica al tragico evento, è una sintesi efficace della situazione che vivono le forze armate israeliane. «Fonti dell’esercito: operatori umanitari di Gaza uccisi perché gli ufficiali dell’IDF sul campo fanno quello che vogliono», titola il quotidiano di Tel Aviv e aggiunge che «l’incidente non ha alcun coordinamento col collegamento, ed è stato causato dal fatto che ogni comandante stabilisce le regole per se stesso». Pesantissimo la disamina successiva, che mostra l’esercito israeliano in confusione totale, come un gigante dai piedi di cartone. «L’uccisione di 7 operatori umanitari nella Striscia di Gaza è dovuta alla scarsa disciplina dei comandanti sul campo e non alla mancanza di coordinamento tra l’esercito israeliano e le organizzazioni umanitarie. Gli ufficiali e i soldati coinvolti hanno violato gli ordini e i regolamenti nelle nostre Forze di difesa».
Le fonti di Haaretz, in pratica, accusano il Comando Sud di aver tentato di deviare le colpe dell’eccidio dei cooperanti a Deir al-Balah. «Anche se il Comando – aggiungono gli ufficiali dell’Intelligence che parlano a condizione di anonimato – sa quale è stata la causa dell’attacco. A Gaza ognuno fa quello che vuole». In questo caso, sostiene Haaretz, non è ancora chiaro se la decisione di aprire il fuoco sul convoglio umanitario, sia stata concordata preventivamente con lo Stato maggiore. Anche se tutto farebbe pensare, invece, a una mossa ‘faidate’, di qualche ufficiale di grado intermedio, accecato da una sorta di fondamentalismo militare. Il punto è proprio questo. Le fonti di Haaretz criticano, in particolare, sia il Ministro della Difesa Yoav Gallant, che il Capo di Stato maggiore dell’IDF, Hertzl Halevi. Entrambi hanno parlato di «difetti di comunicazione», tra le forze armate israeliane e le organizzazioni umanitarie.
C’è, è vero, un difetto di comunicazione. Ma è all’interno dello stesso esercito israeliano, che non riesce assolutamente a fare rispettare le cosiddette «regole d’ingaggio». E, senza regole, qualsiasi guerra, si trasforma in un indegno carnaio, dove, alla fine, si perde di vista qualsiasi differenza tra il bene e il male.