Tragedia palestinese, apocalisse umanitaria anche sul fronte del lavoro

Un’apocalisse umanitaria, ma anche una vera e propria catastrofe sociale. L’allarme dell’International Labor Office sulle ricadute economiche dell’operazione militare israeliana a Gaza e nei Territori occupati della Cisgiordania. Risultati terrificanti anche tenendo conto che il documento è stato elaborato sui dati al 31 ottobre, dopo i primi 20 giorni di azione militare giunta a quasi 2 mesi di escalation e senza ipotesi di conclusione.

Senza più casa, territorio e lavoro. Senza futuro

L’International Labor Office diceva 40 giorni fa che, nella Striscia, almeno 182 mila persone avevano perso il loro lavoro e il reddito per sostenere le famiglie. Quando ancora Gaza ancora esisteva. Comunque, quei 182mila, di allora, rappresentavano il 61% di tutta la forza lavoro della Striscia. Adesso il blocco delle attività produttive e commerciali a Gaza deve essere totale. Per cui, oltre due milioni di persone, molte di loro costrette alla fuga verso il nulla, sono di fatto senza reddito, e per sopravvivere dipendono esclusivamente dagli aiuti internazionali in gran parte bloccati dall’esercito occupante. Oltre che di bombe, nella Striscia ora si inizia a morire di malnutrizione e di malattie infettive.

A Gaza è guerra, in Cisgiorgania è persecuzione

La situazione è drammaticamente peggiorata anche in Cisgiordania, dove, secondo il Labor Office, al 31 ottobre avevano perso il lavoro oltre 200 mila palestinesi. Anche per la West Bank vale lo stesso discorso fatto per la Striscia: cioè, nell’ultimo mese, la già fragile economia palestinese è collassata e, come sostiene il rapporto, il prolungamento della guerra finirà, praticamente, per farla sprofondare del tutto. I calcoli dicono che, dopo il 7 ottobre, la perdita dei posti di lavoro ha fatto mancare al bilancio delle famiglie palestinesi qualcosa come 16 milioni di dollari al giorno per la soddisfazione dei bisogni primari.

Politica sociale israeliana verso i palestinesi

L’analisi dell’organizzazione internazionale ha il pregio di fotografare lo stato del mercato del lavoro palestinese prima dell’attuale crisi, sia a Gaza che in Cisgiordania. Fotografia della politica sociale israeliana nei confronti della popolazione palestinese prima di Hamas. E indirettamente, a spiegare il consenso della popolazione verso Hamas.

Ricatto del lavoro, negato o impedito

Primo dato evidente: la disoccupazione strutturale nella Striscia è il doppio (46%) di quella dei Territori occupati della Cisgiordania (21%). Un effetto dovuto alla politica di “blocco” della Striscia, decisa da Israele per ragioni di sicurezza nazionale. In effetti, i diritti civili dei ‘gaziani’, almeno per quanto riguarda la libera circolazione di persone, merci e capitali, praticamente non sono mai esistiti. Negli ultimi tempi, c’era stato un ammorbidimento da parte israeliana, per quanto riguarda i permessi di lavoro transfrontalieri. Ma ormai sembra preistoria.

West Bank tra un muro e una Colonia e ANP ‘congelati’

Surreale anche la situazione degli spostamenti dei pendolari palestinesi in Cisgiordania. Il rapporto del Labor accenna al moltiplicarsi di posti di blocco israeliani, check-point e asfissianti controlli di polizia che rendono la vita difficile a coloro che devono raggiungere il posto di lavoro, quando ancora c’era. A rischio di ‘congelamento’ (senza stipendio o con salari declassati) delle loro mansioni, ci sarebbero ben 67 mila funzionari, impiegati nei ranghi dell’Autorità Nazionale Palestinese.

L’avara attenzione internazionale

La tragica situazione economica della comunità palestinese, dopo infinite ‘distrazioni’, ha richiamato l’attenzione della stampa internazionale. Ieri il Guardian titolava sul fatto che «quasi 400 mila palestinesi hanno perso il lavoro a causa della guerra». Spiegando che «secondo l’ILO, molti hanno pochi o nessun reddito dopo la chiusura dei valichi di frontiera verso Israele e le restrizioni sui lavoratori».

Il ministro israeliano che tiene la cassa

I dipendenti dell’Autorità palestinese non vengono pagati, perché il Ministro delle Finanze israeliano non dà il via libera, spiega Hani Mousa, professore dell’Università Birzeit. «La punizione collettiva» che il governo di Netanyahu aveva annunciato e che sta infliggendo a tutti i palestinesi dopo le stragi del 7 ottobre.

Autoritarismo anche a perdere

Una delle scelte più dure fatta dagli israeliani, è stata quella di bloccare i permessi di entrata e di lavoro ai palestinesi che arrivavano dalla Cisgiordania. Ogni anno, le rimesse di questi lavoratori, producevano per la loro economia un reddito di circa 3 miliardi di dollari. Problemi anche in casa israeliana con 360 mila riservisti richiamati, e il Paese ‘con una coperta produttiva corta’. Insomma, guerra e i bombardamenti continuano, ma la tavola va apparecchiata e per questo c’è bisogno che qualcuno lavori e produca, nelle fabbriche e nei campi.

Bracciali elettronici come per i carcerati

Così, Netanyahu ha fatto di necessità virtù e, come dice The Guardian, ha concesso permessi temporanei a 8 mila lavoratori palestinesi. «Che spesso, però, vengono costretti a indossare braccialetti tracciabili mentre attraversano i posti di blocco». Quelli che nel resto del mondo si usano per i carcerati in libertà vigilata.
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