Iran prigioniero di chierici ringhiosi forse allenta sul velo femminile per salvare il peggior regime maschilista

Sabato un importante esponente del regime iraniano ha detto all’agenzia di stampa locale ISNA che le autorità stanno valutando se modificare la legge che in Iran obbliga le donne a indossare il velo islamico, l’hijab. L’obbligo del velo è stato il punto di partenza delle proteste iniziate quasi tre mesi fa, dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, una giovane donna arrestata a Teheran – e poi morta durante la detenzione – proprio perché non indossava in maniera corretta il velo.
‘Polizia religiosa’ bestemmia, e un intreccio di poteri collusi e corrotti. Tenuti internazionalmente in piedi dalla guerra ideologica Usa-Israele. Prima smette l’una, prima cade l’altro.

Adesso a Tehran qualcuno inizia ad aver paura

L’esponente del regime che ha parlato con l’agenzia di stampa ISNA è il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri. Ha dichiarato che «sia il parlamento che la magistratura stanno lavorando sulla questione», riferendosi alla necessità di cambiare la legge che in Iran rende obbligatorio il velo. Nessun dettaglio, sapendo però tutti che parlamento e magistratura sono controllati dai conservatori più retrivi. Come affidare riforme di giusto processo alla ‘Santa Inquisizione’ in casa cristiana. Ma Montezeri promette: «Si vedranno i risultati in una settimana o due».

O bagno di sangue con le galere già piene, o cedere qualcosa

Anche l’attuale presidente iraniano Embrahim Raisi, ultraconservatore, sembrerebbe diventato più aperto alle richieste dei manifestanti, anche se con parole ancora più vaghe. Con Raisi concede che le fondamenta islamiche della Repubblica iraniana sono sì stabilite dalla Costituzione nata dalla Rivoluzione del 1979 che trasformò l’Iran in una Repubblica Islamica, ma che «ci sono metodi di attuazione della Costituzione che possono essere flessibili». Quando serve tutto è relativo.

L’hijab calato sulle donne dall’oscurantismo patriarcale

In Iran il velo è obbligatorio dal 1983, dopo la Rivoluzione del 1979 approvò una legge al riguardo. Nel corso degli anni furono poi introdotte altre norme, spesso molto restrittive, via via a stringere e ad allentare. per far sì che l’obbligo venisse rispettato: si andava dalle sanzioni economiche all’incarcerazione. Nel 2018 il regime sostituì alle multe e al carcere e corso di rieducazione islamica. Elasticità di comodo sino all’arresto di Mahsa Amini lo scorso settembre. E alla sua morte tra le mani di assassini molto religiosi e molto improvvidi.

Repressione selvaggia che moltiplica l’opposizione

Sono state arrestate migliaia di persone e ne sono state uccise diverse centinaia, tra cui molti minori. Sono state arrestate anche una serie di persone famose del mondo dello sport, della cultura e dello spettacolo che nel corso di questi mesi hanno espresso solidarietà nei confronti di chi manifestava, precisa il Post. E qui cambiamo racconto.

ln cella anche l’attrice Mitra Hajjar. Ma nel cinema iraniano «il mullah è nudo»

Nella foto di copertina l’attrice Mitra Hajjar, notissima e molto amata in Iran. «Mitra Hajjar è stata arrestata dopo una perquisizione della sua abitazione», ha twittato Mehdi Kuhyan, membro del comitato per il sostegno legale e giudiziario ai cineasti alla ‘Khaneh Sinama’, la Casa del cinema, segnala Farian Sabahi sul Manifesto. Tra le prime celebrità iraniane a essersi esposte a favore delle manifestazioni, era subito finita nel mirino delle autorità. La settimana scorsa era stata convocata dalla magistratura con altre cineaste – tra cui Baran Kowsari (figlia della regista Rakhshan Bani Etemad) e Elnaz Shakerdust – ritenute colpevoli di aver appoggiato le proteste. Sappiamo che il regista Jafar Panahi è stato per anni agli arresti domiciliari e da luglio è in carcere.

Cinema realtà e la ‘fiction’ Ayatollah

«Il cinema iraniano ha anticipato quello che stava per accadere» segnala chi conosce la materia. Da una parte le autorità hanno fatto crescere l’industria cinematografica, persino co-produzioni internazionali su temi che mettevano a nudo le contraddizioni politiche della società iraniana. «A un certo punto – scrive ancora Farian Sabahi-, le autorità iraniane si sono però rese conto di quanto il cinema fosse connesso con le aspirazioni montanti nella società. Per questo, lo ha messo al bando e hanno arrestato tutte e tutti gli autori». Cinema consapevole rispetto alla fiction del potere della teocrazia basato sulla pre-potenza e sull’autoritarismo incontestabile nel nome di dio.

Aggirare le censure della rete in Iran è possibile. Se solo le big tech volessero…

Regime repressivo e violento, ma anche grandi distrazioni da parte di molte espressioni della democrazia occidentale che temono di non guadagnarci, è la sintesi severa di Stefano Bocconetti, sempre Manifesto. «Aggirare le censure della rete in Iran è possibile. Se solo le big tech volessero…». L’ultima notizia è di alcuni giorni fa, l’ha data senza troppo rilievo la Cnn: un incontro, l’ennesimo, alla Casa Bianca fra lo staff presidenziale e Elon Musk. All’ordine del giorno: come attivare Starlink anche in Iran. Dopo l’Ucraina. «Ancora il ‘Ma io che ci guadagno?’», l’argomentare del pidocchioso miliardario subito già inciampato su Twitter e Trump. Ma anche Google al momento promette solo. Rete VPN, Outline, che nasconde il traffico on line, utilizzando una connessione crittografata.

La reti della clandestinità

Esistono tante altre reti VPN che consentirebbero una navigazione anonima. E che gli attivisti digitali stanno provando ad allestire. Ma anche qui, non si è fatto i conti col governo di Teheran. Che nella classifica dei paesi più avanti nella censura e nel controllo della rete, è in testa da anni, come racconta l’organizzazione internazionale Freedom House. Poi la spiegazione di Bocconetti diventa troppo tecnica per noi e, per chi di voi ne sa di più, possibile lettura ( https://ilmanifesto.it/aggirare-le-censure-della-rete-in-iran-e-possibile-se-solo-le-big-tech-volessero ).

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