70 anni fa, fu Stalin. La morte di Josif Vissarionovic Giughasvili raccontata da Kruscev

La mattina del 4 marzo 1953 Radio Mosca annunciò al mondo che Stalin era stato colpito da un’emorragia cerebrale mentre si trovava nel suo appartamento al Cremlino: in realtà Stalin non si trovava a Mosca, ma nella sua dacia a Kuncevo nei dintorni della città e il malore –come fu scoperto dopo– risaliva almeno a quarantotto ore prima.
Il 5 marzo seguì la notizia ufficiale della morte: dopo un rullo di tamburi si annunciò che il cuore del «saggio capo» del partito comunista dell’Unione Sovietica aveva cessato di battere. Le Memorie di Nikita Kruscev raccontano alcuni particolari illuminanti sull’evento e sul suo sviluppo.

«Maryona Petrovna dice che non è un sonno normale»

Per conoscere le circostanze della morte di Josif Vissarionovic Giughasvili si dovettero attendere il XX congresso del PCUS e le memorie di Kruscev, perché nemmeno i più efficienti servizi segreti del mondo erano riusciti a penetrare le pareti della dacia di Kuncevo, immersa nei boschi dei dintorni di Mosca e soprattutto vigilata da agenti scelti dell’NKVD. Kruscev ricorda che era abitudine di Stalin telefonare la domenica mattina per convocare una riunione ‘urgente’ alla quale era difficile sottrarsi: al contrario quel 1° marzo 1953, domenica, era trascorso senza telefonate e Kruscev incredulo era andato tranquillamente a letto, ma nella notte era giunta invece un’agitata telefonata di Malenkov che lo invitava in fretta recarsi nella dacia di Stalin dove gli uomini di guardia avevano segnalato che poteva essere successo «qualcosa».
Gli uomini dell’NKVD riferirono di aver mandato nella stanza l’anziana e fedele governante Maryona Petrovna che lo aveva trovato disteso sul pavimento: convinti che fosse profondamente addormento, lo avevano disteso su un divano riferendolo ai dirigenti presenti. Sollevati Kruscev, Malenkov e Bulganin erano tornati alle proprie abitazioni, ma era seguita una seconda telefonata: «Maryona Petrovna dice che non è un sonno normale».
Dopo aver avvertito gli altri membri della direzione del partito e dopo aver deciso insieme che sarebbe stato opportuno a quel punto chiamare un medico, furono convocati il professor Lukomski e altri clinici moscoviti. Erano trascorse intanto almeno ventiquattro ore o più, determinanti in quei casi per intervenire con qualche probabilità di successo.
Nei giorni successivi Stalin a volte perse conoscenza per riprenderla poco dopo e Kruscev annota che l’atteggiamento di Beria, il capo dell’NKVD, cambiava a seconda degli attimi di lucidità: affettuoso nei confronti del capo quando aveva l’impressione che capisse, insofferente nei momenti di incoscienza. Si era aperta la successione e ancora Kruscev racconta che immediatamente dopo la morte di Stalin Beria fu il primo ad abbandonare la dacia.

La trappola sventata

Secondo Kruscev a tutto il gruppo dirigente del partito era noto che Beria avrebbe approfittato della morte di Stalin per succedergli, ma Nikita Sergievic tace però che lui stesso ambiva alla stessa cosa. Dietro un’apparente moderazione e un ossequio formale alle decisioni della maggioranza della direzione, Beria in realtà stava pilotando abilmente le decisioni ed aveva iniziato a tendere dei trabocchetti, delle vere e proprie trappole in cui sarebbero caduti uno dopo l’altro gli altri dirigenti. Alcuni provvedimenti sembravano liberali, come ad esempio consentire che nelle repubbliche dell’Unione Sovietica il vertice potesse essere occupato da personalità del luogo e non più da inviati di Mosca, ma si trattava di astuzie per consolidare il proprio potere a Mosca: i ‘promossi’, ovvero i funzionari di origine russa, avrebbero ottenuto una promozione della quale sarebbero stati grati a Beria che nel frattempo era diventato vice presidente e ministro degli interni.
Un altro stratagemma consisté nel progettare un vero e proprio villaggio moderno per le vacanze dei dirigenti in Crimea, allettandoli con case di nuova costruzione, ma creando nello stesso tempo malcontento tra gli abitanti del luogo che sarebbero stati sfrattati o espropriati e che soprattutto avrebbero espresso prima o poi malcontento per la decisione. La goccia che fece traboccare il vaso, sempre secondo Kruscev, fu la decisione di ridurre le pene ai condannati per motivi politici: Beria infatti aveva suggerito a Malenkov questo provvedimento, ma di fatto – dietro la riduzione degli anni di deportazione da venti a dieci – non veniva esclusa la possibilità di una seconda condanna ad altri dieci anni che avrebbe riportato alla situazione precedente, tanto più che la seconda condanna avrebbe potuto essere inflitta in via amministrativa, cioè non da un tribunale, ma dallo stesso Beria. Il pericolo insomma era che l’orologio della storia tornasse agli anni delle grandi purghe staliniane del 1937-38.

Il XX congresso

Solo a giugno, organizzando un vero e proprio colpo di stato appoggiato dai militari, fu possibile allontanare definitivamente Beria dal potere: il ricorso alle forze armate era del resto inevitabile perché affidarne la custodia agli uomini dell’NKVD che fino a quel momento erano stati al suo comando non sembrava particolarmente saggio, né prudente. In una concitata riunione del presidium del comitato centrale, Kruscev prese la parola elencando tutte le malefatte di Beria a partire dagli anni Venti, quando cioè nel corso della guerra civile in Asia centrale, pare avesse collaborato con i servizi inglesi a Baku contro i bolscevichi, e via via in crescendo fino all’epoca di Stalin: la diga ormai si era rotta travolgendo il capo della polizia e ministro dell’interno. Intervenne alla fine un gruppo di marescialli e generali dell’Armata rossa, tra i quali Zhukov, il vincitore della Germania messo in ombra da Stalin dal 1946, ad allontanare l’ex ministro prendendolo in custodia.
Non senza una certa sorpresa, la stessa sera si scoprì anche che Beria era stato una sorta di violentatore seriale. Restava da completare l’opera occupandosi anche del suo braccio destro che fu incaricato di stendere un rapporto sulle efferatezze del suo ex capo: un compito che Merkulov, ministro del controllo di stato, assolse senza però soddisfare del tutto il comitato centrale, tanto da essere lui stesso arrestato. Il problema a quel punto divenne la divulgazione di quanto era accaduto non solo negli ultimi mesi di vita politica dell’Unione Sovietica, ma nei decenni del regime staliniano.
I diversi dirigenti, all’idea che un’eventuale divulgazione sarebbe potuta sembrare originata da interessi personali, scelsero così la via pubblica del congresso del partito. La stessa convocazione fu del resto un evento straordinario, perché il precedente congresso, il XIX, si era concluso nell’ottobre 1952, proclamando a Stalin eterna gratitudine e gloria imperitura. Il XX congresso ebbe luogo però solo nel 1956 chiudendo la pagina forse più controversa della storia dell’Unione Sovietica.

Tags: morte Stalin
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