Guerre tra Ideal e Realpolitik. Coscrizione obbligatoria e renitenza

Le guerre, anche le più disumane e feroci, sempre vendute come necessarie e altamente ideali, con l’obbligo sociale e patriottico a parteciparvi. Il riferimento alla drammatica attualità russo-ucraina è evidente e voluto. ‘Carne da cannone’ si diceva al tempo delle trincee, con i soldati mandati in massa a morire. E la Carne da cannone non distingue tra causa dei buoni e dei cattivi. Sempre e solo vite spezzate e sprecate.
Gli stessi fatti letti da fronte del rifiuto: il distinguo storico e tra chi si sottrae all’arruolamento, il ‘renitente’, e l’arruolato che diserta il servizio.

La condanna del grande pugile Cassius Clay che si era rifiutato di andare a combattere in Vietnam

«Aux armes citoyens!»

Da un punto di vista storico la leva obbligatoria per tutti non si può definire un’istituzione molto antica, anche se non mancarono delle eccezioni in casi particolari. La nascita ufficiale risale comunque alle guerre della rivoluzione francese, quando cioè la Francia fu attaccata dall’Austria e da altri stati tedeschi. L’esercito era in maggioranza composto da soldati che oggi con linguaggio corrente potremmo definire ‘professionisti’ e dalle guardie nazionali arruolate su base volontaria soprattutto nelle città. Oltre che di un’organizzazione in crisi per le vicende rivoluzionarie che avevano sconvolto la Francia, era anche poco numerosa ed insufficienti i volontari.
Sulla base dei registri delle parrocchie (un’anagrafe amministrativa fu istituita dopo) si cominciò allora ad imporre non un arruolamento vero e proprio, ma un censimento di tutti i maschi adulti in grado di combattere e da questo procedimento di selezione dei cittadini si passò all’incorporazione nelle file dell’esercito. Il punto fu che questo esercito di cittadini, indubbiamente ardenti di spirito nazionale, quanto male armati, poco addestrati e sul quale pochi avrebbero rischiato, sconfisse lo stesso i nemici della Francia.

Lo Stato-nazione

La coscrizione obbligatoria, sia pure in diverse versioni nazionali, si estese nell’Ottocento praticamente in tutta Europa ad esclusione della Gran Bretagna che continuò ad arruolare ‘volontari’ fino al 1916, quando era cioè già entrata nella Prima Guerra mondiale. Le procedure differivano da paese a paese, ma molte ammettevano la cosiddetta ‘sostituzione’, ovvero il pagamento di una somma per reclutare un’altra persona (pratica diffusa tra le classi abbienti), e il ‘sorteggio’, ovvero l’estrazione di un biglietto con il numero più o meno fortunato. Il servizio da affrontare era tuttavia lungo e molto duro: in media si trattava di un periodo di almeno due o tre anni, che in qualche paese diventavano quattro o cinque, senza contare gli spostamenti frequenti delle guarnigioni o il fatto che molto raramente una recluta rimaneva nella propria zona di origine.
Si trattava di una precauzione in quanto, poiché era frequente l’impiego dell’esercito nell’ordine pubblico, si intendevano evitare pericolosi contatti tra militari e popolazione civile. I reparti, a loro volta, comprendevano sudditi provenienti da regioni diverse: nel caso dell’impero austriaco ad esempio si mescolavano volutamente le diverse etnie facendo in modo che nessuna costituisse la maggioranza relativa del reparto.

Fatta l’Italia bisognava fare gli italiani

All’indomani dell’Unità d’Italia fu introdotta la coscrizione obbligatoria su tutto il territorio nazionale e si trattò di una novità non proprio gradita a tutti, soprattutto nelle regioni dove non era mai esistita come le Romagne, le Marche, l’Umbria e la Sicilia. La prima ‘classe’ di leva del regno d’Italia nel 1863 furono i nati nel 1842 che per prima cosa si trovarono ad affrontare non le battaglie del glorioso Risorgimento, ma l’ingrata lotta al brigantaggio meridionale. La durata del servizio (cinque anni) e una comprensibile ritrosia all’impiego al Sud fecero si che il tasso medio di renitenza nelle liste destinate all’«estrazione» fosse dell’11,5%, ma con punte assai superiori ad esempio nei distretti militari campani che raggiunsero il 57%.
Le cose con il passare del tempo migliorarono leggermente, ma nel decennio 1877/1886 il tasso di renitenza in alcune zone della Calabria, della Basilicata e della Sicilia si aggirò intorno al 5% annuo, ma nelle stesse zone nel decennio 1904/1913 aumentò fino a quasi il 14%. Non stupisce che durante la Prima Guerra mondiale la percentuale di renitenti aumentò: la media nazionale si aggirò poco sopra il 10%, ma in alcune zone del regno.

La guerra d’Algeria e la guerra del Vietnam

Comprensibilmente le guerre mondiali videro ovunque l’aumento dei renitenti, ma dopo il 1945 ci furono altri due casi da ricordare: la guerra d’Algeria e la guerra del Vietnam. Dalla Francia, che aveva già subito il trauma della sconfitta in Indocina, si riversarono soprattutto in Svizzera giovani che rifiutavano il servizio militare. Memorabile fu un sorta di beffa giocata da un gruppo di calciatori francesi (in realtà algerini) che nel 1958 abbandonarono gli stadi francesi per fondare la nazionale di calcio algerina con la benedizione del FLN, che furono tuttavia denunciati per renitenza. Già all’epoca della guerra civile americana il Canada aveva visto numerosi disertori americani (soldati cioè che erano fuggiti), ma durante la guerra del Vietnam i renitenti furono molti di più.
Negli anni tra il 1967 e il 1972 si verificò una forte ondata migratoria in Canada e ad essa si sovrappose la presenza di renitenti americani. Ufficialmente il paese non manifestò alcun appoggio ed anzi i richiedenti asilo nord americani raramente videro accolte le loro domande, ma furono accolti lo stesso. Il primo ministro Trudeau, intimamente pacifista e che non nutriva simpatie per Richard Nixon, dovette attendere la fine della guerra e i provvedimenti di clemenza emessi da Ford e Carter per sanare la situazione.

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