Sotto i colpi della crisi, la Germania è la prima a volare in Cina per parlare di pace, e di affari

La Germania, costretta dalla crisi ucraina a rinunciare ai suoi antichi rapporti con la Russia dell’aggressione, ma anche dell’energia a basso costo e due gasdotti miliardari, rivede in suoi vecchi modelli di solidarietà europea e transatlantica, e si costruisce il suo ‘lebensraum’, spazio economico vitale con la Cina.

Germania piaccia o non piaccia a Use e Ue

Il Cancelliere Scholz sarà il primo leader del G7 a recarsi a Pechino per abbracciare Xi Jinping, reduce dal trionfo al XX Congresso del Partito comunista. Il capo del governo tedesco ha detto che “il disaccoppiamento tra Cina e Germania sarebbe una cosa sbagliata, tanto più ora, a 50 anni dalla instaurazione delle relazioni diplomatiche”. Il Cancelliere ha anche aggiunto che il suo Paese “deve continuare a fare affari con la Cina, mentre commercia anche con l’Africa, il Sudamerica e l’Asia”. In sostanza, Scholz vuole che siano accuratamente separati gli approcci di politica internazionale da quelli economici. La geopolitica ha le sue regole e i suoi schieramenti, ma il mondo della produzione e della distribuzione della ricchezza deve seguire altre logiche. Perché la globalizzazione è un bene per tutti.

Il gigantesco mercato cinese

Una difesa molto “filosofica” come si vede, dietro la quale, però, si muove una realtà di giganteschi affari commerciali. E la Germania non intende rinunciarvi, l’Occidente è avvisato. Proprio ieri il Financial Times ha pubblicato un lungo report sugli interessi tedeschi in Cina, sottolineando come ormai quel mercato sia diventato il secondo in ordine di importanza per Berlino. Basti solo pensare che, nel 2021, sono stati venduti 100 miliardi di merci prodotte in Germania, molte delle quali ad alto contenuto tecnologico. Si tratta, dunque, di un export ad alto valore aggiunto che entra, in modo prepotente, nelle catene di approvvigionamento che partono dal colosso asiatico per rifornire le industrie di mezzo pianeta.

L’inciampo ‘zero Covid’ di Xi

La crisi pandemica e le strategie “zero Covid” volute da Xi Jinping hanno fatto crollare questo flusso. Oggi, scrive il FT, molti macchinari che prima arrivavano dalla Germania vengono costituiti con prodotti locali, che costano meno, ma certo non hanno le stesse prestazioni. Ciò ha un impatto sulla qualità delle materie prime e dei semilavorati, oltre che dei prodotti che contengono una forte base tecnologica. In questo senso, la catena di approvvigionamento che parte dalla Cina non ha solo rallentato (a causa del blocco dei porti, primo fra tutti quello di Shanghai), ma ha visto anche diminuire lo standard medio dei suoi prodotti. A questo punto i tedeschi, pur continuando a professare la loro lealtà atlantica, hanno scelto di imboccare una loro “via della seta”.

La via tedesca della seta

Come dicono gli imprenditori intervistati dal Financial Times, le imprese della prima potenza economica europea sono quelle che ci stanno rimettendo di più nel fare una politica di muro contro muro con Pechino. Segnali numerosi di un atteggiamento tedesco che si smarca dal resto dell’Occidente. Gli americani sono preoccupati per un possibile spionaggio scientifico dei cinesi? La Germania no, se è vero che il suo ambasciatore a Pechino, in un’intervista concessa al South China Morning Post di Hong Kong, ha offerto ampia collaborazione nel campo dello studio dei vaccini anti-virali basati sull’utilizzo di Rna messaggero. Patricia Flor, tanto per far capire dove stava andando a parare, ha chiesto cooperazione nel campo della ricerca biomedica e anche un atteggiamento diverso del governo cinese verso le aziende tedesche.

Troppi controlli, un sacco di ostacoli, molta burocrazia rendono la collaborazione tra le tue economie difficile. Non sarebbe male se la leadership raccolta intorno a Xi Jinping avesse un occhio di riguardo per la Germania.

Obiettivi di Scholz e allarme Usa-Ue

Abbastanza chiaro dove Scholz vuole arrivare. Mentre già da un pezzo suona la sirena d’allarme del Dipartimento di Stato Usa e della Commissione Europea proprio rispetto alla Cina. Fare business con Pechino, si ripete come un mantra, può nascondere molti insidie, perché da quelle parti usano gli investimenti e il commercio per fare politica (solo la Cina?). Questa la sintesi dell’avvertimento lanciato negli ultimi tempi. Paure? Molte. Ma anche la crescita di una specie di complesso relazionale, che diventa quasi psicosi e sfocia nelle teorie del complotto. In sostanza, il “pensiero unico” occidentale ritiene che la Cina, oltre all’obiettivo di guadagnare dollari, si proponga traguardi ben più ambiziosi. Dietro le aperture commerciali e culturali, è il sospetto, ci sarebbe sopratutto una grande fame di conoscenze, tecnologiche e scientifiche, che Pechino cerca di estorcere attraverso i tuoi contatti internazionali.

Pechino rapace di tecnologie e scienza

Probabilmente, c’è una base di verità in questa tesi. Il problema è capire fino a che punto sia possibile rifiutare pregiudizialmente qualsiasi dialogo. O se non sia meglio seguire un progetto di collaborazione bipartisan, tenendo sempre la guardia alta. Gli americani stanno maturando il complesso del “sorpasso”, perché temono di essere scavalcati come prima potenza economica mondiale. Per fare questo nell’arco di un decennio, come ha programmato Xi Jinping, l’unico modo per far crescere esponenzialmente la produttività di un sistema è mediante massicce introduzioni di tecnologia. Questo è il motivo per cui, a Washington, si teme che la lunga mano dei cinesi arrivi nelle università e nei laboratori di ricerca.

Il rilancio tedesco dopo la Russia perduta

Scholz, però, non ha di questi problemi. Lui deve solo vendere tecnologia avanzata alle industrie di Pechino e cercare di rimanere il fornitore principe, ottenendo una specie di tacita “clausola della nazione più favorita”. Non è male come filosofia: in fondo, gli americani e gli altri europei fanno le guerre e lui pensa, invece, a firmare le paci. E tanti contratti.

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