In questo caos (viene da sorridere ripensando a quei saggisti che dopo la fine della Guerra Fredda teorizzavano la pace mondiale), c’è un solo vincitore, il mercato delle armi con il corollario indiretto di traffici illegali e provocazione di nuovi conflitti. Ma perdiamo tutti, compresi quanti credono di vincere e ritengono di essere dalla parte giusta. E sorge qualche dubbio sulla sanità mentale di coloro che hanno provocato scenari così apocalittici nell’era della globalizzazione economica, della presunta distensione internazionale e di gravissime emergenze (clima, sanità, fame) oggi messe nel cassetto per i posteri.
Chi può ancora fare qualche cosa ed esprimere una posizione condivisa? Non l’Onu, «che ha dimostrato la sua impotenza, come in passato», scrive il mensile londinese The Critic. E che oggi è lacerata e al centro di feroci polemiche dopo le critiche del segretario generale Guterres a Israele. Non gli Usa, «per tanto tempo potenza dominante in Medio Oriente», ma visti come sostenitori di parte. Sarebbe ancora possibile una mediazione multilaterale e multipolare, magari con la Cina e con altri giganti di questo secolo? «Questa guerra — aggiunge la rivista — sarebbe l’occasione ideale per cinesi e americani di mostrarsi pragmatici».
Handelsblatt, quotidiano economico tedesco, si preoccupa per le ripercussioni della guerra in Medio Oriente sulle opinioni pubbliche interne. Al di là del Reno, le scene di gioia di una manifestazione pro-palestinese hanno riacceso il dibattito sull’antisemitismo in Germania e sull’integrazione degli immigrati arabi in un Paese che considera «la sicurezza di Israele una ragion di Stato». «Queste tensioni interne stanno indebolendo le democrazie liberali in un momento in cui devono affrontare un asse di opposizione all’Occidente, che va da Teheran a Mosca passando per Pechino.
I vari protagonisti non hanno concluso un’alleanza formale, avendo interessi divergenti, ma tutti condividono il desiderio di rimescolare le carte dell’ordine mondiale. Inoltre, il conflitto offre a questi Paesi l’opportunità di intervenire come mediatori, offuscando l’immagine dell’Europa e degli Stati Uniti nei Sud del mondo e nel mondo arabo. «Per adattarsi a un contesto geopolitico in rapida riconfigurazione, i leader occidentali devono ora pensare l’impensabile», auspica il quotidiano tedesco.
La domanda chiave è se le relazioni diplomatiche di Israele nella regione e l’influenza dei suoi sostenitori occidentali sulla scena internazionale possano sopravvivere alle crescenti vittime civili a Gaza. E, in subordine, quanto la crisi mediorientale possa condizionare politicamente l’andamento della guerra in Ucraina.
Cina, Russia e Iran hanno a lungo cercato di minare il sistema internazionale sostenuto da Washington. Citando il numero crescente di morti da parte palestinese, il Cremlino «si permette di denunciare quella che considera l’ipocrisia dei governi occidentali, che hanno condannato i massacri di civili commessi dai russi in Ucraina, ma che a malapena, se non per nulla, criticano le azioni israeliane a Gaza». Anche la Cina ha sposato la causa palestinese come non faceva da decenni. Le relazioni, un tempo cordiali, con Israele sono deteriorate. «Pechino non ha mai smesso di invocare la necessità di combattere il terrorismo per reprimere gli uiguri nello Xinjiang, ma si è astenuta dall’usare la parola ‘terrorismo’ per l’attacco di Hamas».
La guerra provocata da Hamas interessa anche l’India, principale rivale della Cina in Asia, che negli ultimi anni si era avvicinata molto a Israele. India e Stati Uniti hanno annunciato nei mesi scorsi piani per un corridoio che colleghi l’India, il Medio Oriente e l’Europa attraverso gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, la Giordania e Israele, in concorrenza con il progetto cinese delle Nuove vie della seta. Tuttavia, i colloqui sulla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita — elemento chiave del piano — sono stati silurati dalla guerra di Gaza.
Gli incubi sul futuro si moltiplicano nei Paesi europei, poiché un’escalation del conflitto aumenterebbe le tensioni regionali, distoglierebbe l’attenzione dall’Ucraina e creerebbe una nuova crisi energetica, privandoli dell’alternativa mediorientale al petrolio e al gas russo. Inoltre, il sangue che scorre in Medio Oriente aumenta il rischio di violenze provocate da gruppi militanti islamisti. «Se il conflitto in Medio Oriente coinvolgerà il Libano e poi, forse, direttamente l’Iran e gli Stati Uniti, le risorse militari per l’Ucraina, che già scarseggiano, potrebbero diventare ancora più scarse. Un pericolo di cui Kiev è ben consapevole».
Nel Sud del mondo, il conflitto in Medio Oriente sta influenzando la percezione dell’invasione russa. «La smania dell’Occidente di sostenere Israele sta erodendo il sostegno all’Ucraina tra i Paesi in via di sviluppo», osserva il Financial Times. La reazione occidentale «ha vanificato mesi di lavoro per rendere Mosca un paria colpevole di aver violato il diritto internazionale», secondo le fonti del quotidiano britannico. Un alto diplomatico anonimo di un Paese del G7 si è detto amareggiato: «Abbiamo definitivamente perso la battaglia per il Sud globale. Dimenticate le regole, dimenticate l’ordine mondiale. Non ci ascolteranno mai più».
Infine, a complicare lo scenario, ci sono le reazioni del mondo arabo, anche nelle opinioni pubbliche più moderate e disposte a condannare Hamas. La rotta di collisione con l’Occidente è evidente. Tra il mondo arabo e l’Occidente, «ci sono due universi che non si capiscono, non si guardano, non usano le stesse parole o gli stessi simboli», lamenta il quotidiano libanese L’Orient-Le-Jour. «Per alcuni, l’angolo di approccio è quello della lotta al terrorismo; per altri, quello della resistenza all’oppressione». «C’è un’immensa rabbia nel mondo arabo, anche tra coloro che non sostengono Hamas — ha dichiarato al New York Times Nabil Fahmi, ex ministro degli Esteri egiziano. Stanno dando il via libera a Israele. […] L’Occidente avrà le mani sporche di sangue». Lo slogan ‘Morte all’America’ avrebbe trovato «una nuova eco nella regione».
E anche se la Casa Bianca ha cambiato tono negli ultimi giorni, sottolineando l’emergenza umanitaria a Gaza, il danno è già stato fatto, secondo Hafsa Halawa, ricercatrice del Middle East Institute di Washington, «gli americani non hanno assolutamente alcuna credibilità morale in Medio Oriente». L’ampio tour diplomatico del Segretario di Stato Antony Blinken in Israele e in cinque Paesi della regione, tra cui Egitto, Giordania e Arabia Saudita, ha prodotto uno spettacolo insolito: «autocrati arabi che tengono lezioni ai dignitari americani sui diritti umani». «Molti arabi hanno trovato le parole usate dai funzionari americani e israeliani disumanizzanti e bellicose», aggiunge il New York Times.
Molti paragonano anche la risposta occidentale all’invasione dell’Ucraina con quella all’assedio di Gaza. «Siete contro l’occupazione dell’Ucraina. Potete negare che i palestinesi siano sotto occupazione?», ha chiesto un intellettuale saudita, Khalid Al-Dakhil, che ha denunciato la «cieca adozione della narrazione israeliana degli eventi». Sul sito web Al-Modon, il romanziere e intellettuale egiziano Chadi Louis ha espresso sorpresa per il fatto che i colori della bandiera israeliana siano stati proiettati «sulla residenza del primo ministro britannico, sulla Torre Eiffel, sulla Porta di Brandeburgo a Berlino, su edifici pubblici a Vienna e così via». A suo avviso, i Paesi occidentali sembrano affermare di «formare un fronte unito nella guerra a fianco di Israele», invece di protestare quando il governo Netanyahu dichiara un assedio a oltranza contro la Striscia di Gaza, descrivendo i suoi abitanti come «animali umani».
«Quello che sta accadendo nel ‘mondo libero’ è spaventoso», aggiunge la scrittrice libanese Najwa Barakat sul sito del quotidiano qatariota Al-Araby Al-Jadid, sottolineando che, mentre si espongono i colori di Israele, è «vietato innalzare la bandiera palestinese, e chiunque cerchi di ricordare alla gente che le cose sono accadute prima viene accusato di antisemitismo». I toni sono ancora più virulenti sul sito indipendente algerino Twala, che titola: «Israele-Palestina: il genocidio che il mondo sta guardando commettere». E il sottotitolo: «Una barbara guerra di sterminio che l’Occidente, con la sua macchina mediatica, sta cercando di giustificare».
«Palestina, l’ipocrisia occidentale smascherata», si legge in una rubrica della rivista tunisina Business News. «Si accende la televisione sui canali occidentali e si ha l’impressione che tutto sia iniziato in un certo sabato 7 ottobre 2023». «Nessun contesto, […] nessuna sfumatura, scrive l’editorialista Ikhlas Latif. L’ipocrisia è tale che, riferendosi al trattamento mediatico della guerra russo-ucraina, le incongruenze si conterebbero a centinaia».
«La bellezza salverà il mondo», ha scritto Dostoevskij. Ma Dostoevskij era russo e di questi tempi non è credibile nemmeno lui.