Giornalismo di lotta, di latta o da borsetta?

Recentemente ho letto un articolo in cui si parlava di un premio giornalistico assegnato a personalità dello spettacolo televisivo con qualche attinenza con l’informazione da intrattenimento. Giornalismo di nome e non di fatto. O per meglio dire: facce note sbattute sulla prima pagina di un premio che si appella alle radici giornalistiche nel sud della Toscana.

Sottolinea, con la sagacia di sempre, il barbiere anarchico che da queste parti il premio al volto noto, al di là del merito, è un super classico. E che l’informazione, quella indipendente e democratica che agisce da cane da guardia al potere, nell’immaginario collettivo e mediatico è stata soppiantata da una specie di spettacolarizzazione del dolore, con dibattiti stucchevoli urlati a slogan e poca poca rilevanza sul piano dei diritti sociali e civili per tutti.

Il cane da guardia si è messo autonomamente alla catena per non sbagliare i territori dove mordere. In un ecosistema in cui sembra preferibile il cane da compagnia. Quello da borsetta ancora meglio.

Ma torniamo ai premi giornalistici. Che senso ha avere un personaggio famoso televisivo al quale omaggiare un premio e non pensare alla cultura come terreno fertile sul quale gettare dei semi di speranza per le nuove generazioni? Perché mostrare ai più giovani l’idea che conta sempre e solamente il successo, in qualunque modo si colga? Perché confondere le acque mettendo nello stesso calderone influencer che si spacciano per eroi, urlatori da arena mediatica, telecronisti di partite, e la parola giornalismo, come se fosse tutto uguale?

Amico mio – sornione affonda il colpo il barbiere – niente avviene per caso. Non mi pare che il momento culturale e sociale che attraversiamo sia memorabile. Viviamo immersi in una narrazione ipocrita, ideologica più di quando le ideologie animavano le passioni. Viviamo in un momento storico in cui ci stanno chiedendo una resa politica e culturale senza precedenti. State a casa, ci dicono. Fate l’università sul divano dei vostri appartamenti con la mammina che vi prepara la merendina. Non andate in strada a protestare perché è pericoloso, girano manganellate. Non occupatevi del vostro futuro, dell’aria che respirate, dell’ambiente, della bellezza, del lavoro. Insomma, obbedite. Obbedite e plaudite. Al massimo festeggiate i big che decuplicano le proprie ricchezze sul vostro territorio, prendendosi belle fette di bene comune e rapinandovi il futuro.

Una resa, però scintillante. Vestita alla moda, con autori che meglio la sanno leggere e con giornalisti influencer che proprio per mestiere consigliano gli acquisti.

Per chi non è d’accordo, non resta che non adeguarsi. Non resta che la lotta, la resistenza, l’idea che mettendo insieme idee e creatività, desideri e capacità, si possa ottenere qualcosa sul piano culturale e politico.

È pieno di persone che si battono contro la spettacolarizzazione del tutto: nascono collettivi, gruppi di lavoro, azioni corali che agiscono sui territori. Non considerando i territori come ricchi luogo di sbarco per colonizzatori vecchi e nuovi, ma luoghi dove coltivare cultura per costruire un futuro di libertà e democrazia per tutti.

D’altra parte, quando i problemi sono collettivi la risposta non può essere individuale.

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  • Grazie, grazie, grazie

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