Nella notte Biden ha annunciato una richiesta della Casa Bianca al Congresso di oltre 100 miliardi di dollari per la fornitura di armi a Ucraina (60), Israele (40) e Taiwan, e al rafforzamento del confine tra il Messico e gli Stati Uniti.
Migliaia di persone nel National Mall, la spianata centrale di Washington, in quella che è stata definita la maggiore manifestazione ebraica pro-Palestina. La folla ha scandito slogan come «il colore del nostro sangue è lo stesso, il nostro dolore non è la vostra arma».
La protesta di mercoledì –sottolinea Luca Celada dagli Usa sul Manifesto-, è stata fra le più esplicite nel formulare una posizione netta contro la guerra, vicino cuore del potere americano che in questi giorni, come ha scritto il Washington Post, «sta dando fondo ai magazzini per rimpinguare gli arsenali di Tel Aviv».
«Nella folla rumorosa c’erano molti giovani: tatuaggi e piercing accanto a rabbini in scialli da preghiera e shofar, il rituale corno di montone per chiamare a raccolta i fedeli», racconta Celada. C’erano anche palestinesi con la kefiah e pacifisti laici non ebrei o arabi, ma la manifestazione –questa la cosa importante-, è stata organizzata e promossa dai pacifisti ebrei che denunciano «gli ultimi anni di regressione autoritaria e xenofoba».
Formazioni come Never Again Action fra le più efficaci a denunciare il rapporto tra involuzione totalitaria ed antisemita del XX secolo con l’attuale recrudescenza della neodestra rappresentata da Netanyahu e dal governo degli ‘ultraortodossi’. Una critica progressista con azioni di protesta e disubbidienza civile. Ora è da questa rete che arriva l’opposizione più incisiva ai crimini di guerra che si consumano in medioriente con manifestazioni in molte città americane.
A Washington, già lunedì scorso un picchetto davanti alla Casa Bianca per invocare un immediato cessato il fuoco, finito con l’arresto di trenta persone. L’altro ieri 450 militanti della Jewish Voice for Peace e If Not Now, fra cui 25 rabbini, hanno occupato la rotonda del Cannon building, l’edificio degli uffici dei deputati «per fermare i genocidi attualmente in corso».
I manifestanti indossavano maglie nere con la scritta ‘non nel nostro nome’, e sul retro ‘ebrei per l’immediato cessate il fuoco’. Alla fine, più di 300 di loro sono stati arrestati dalla Capitol Police. «In decenni di attivismo ebraico antisionista, non ho mai visto nulla di simile», denuncia Naomi Klein.
«È nostra responsabilità impedire che i nostri genitori e nonni, sorelle fratelli e cugini, sacrifichino le loro anime alla ricerca di sanguinante vendetta. Non lasceremo che il nostro timore dell’antisemitismo venga manipolato per ostruire l’unica possibile soluzione politica: fine all’occupazione e al colonialismo, libertà ed autodeterminazione».
«Vorrei che il popolo palestinese potesse vederci qui ora», ha detto dallo stesso palco Rashida Tlaib, unica parlamentare palestinese del Congresso. «Che sapessero che non tutti gli americani li vogliono vedere morti».
Secondo l’osservatorio ‘Crowd Counting Consortium’, dall’inizio delle ostilità iniziate con la strage perpetrata da Hamas, in America si sono registrate più di 400 manifestazioni, veglie e presidi. 270 circa sono state di sostegno ad Israele e 200 a favore dei palestinesi.
Le proteste ebree di Washington espressione di un crescente movimento pacifista ed equidistante, che invoca l’immediata cessazione delle ostilità, nell’interesse di tutte le vittime. Un contrappunto ai proclami di alleanza e sostegno militare ribaditi da Joe Biden anche ‘al fronte’. Un illusorio ‘contenimento’ delle azioni israeliane a favorire i corridoi umanitari a Gaza. Ma con tante nuove armi a Tel Aviv.
La destra è compattamente schierata con Netanyahu, «alcuni più cinicamente di altri. Il governatore della Florida De Santis ha organizzato charter di ‘evacuazione’ daTel Aviv, pubblicizzandoli in spot elettorali». Il dissenso contro la guerra ha invece raggiunto anche le istituzioni politiche, con le dimissioni di Josh Paul dal Dipartimento di stato, un dirigente dell’ufficio che sovrintende alla cessione di materiale bellico all’estero. Con questa motivazione:
«l’inaccettabile politica che mira ad ampliare e velocizzare la fornitura di armi letali ad Israele».
Al Senato, Bernie Sanders ha bloccato l’approvazione di un decreto repubblicano che avrebbe proibito l’invio di aiuti umanitaria Gaza in quanto ‘potenziale ausilio ad Hamas’. «A Gaza vi sono attualmente centinaia di migliaia di persone innocenti che hanno perso casa, cibo, acqua e carburante», ha ricordato Sanders. «Metà di loro sono bambini».
In che cosa si è risolta la mediazione di Biden in Medio Oriente? In un nuovo banchetto di aiuti militari che nelle intenzioni legano strategicamente il Medio Oriente all’Ucraina e all’Estremo Oriente.
«Nella notte Biden ha annunciato una richiesta della Casa Bianca al Congresso di oltre 100 miliardi di dollari da destinare alla fornitura di aiuti e risorse militari a Ucraina (60), Israele (40) e Taiwan, e al rafforzamento del confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Che nel frattempo mettevano il veto al Consiglio di sicurezza Onu sulla proposta di tregua umanitaria».
Il presidente sostiene che i conflitti in Ucraina e Israele costituiscano questioni di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti. Peccato che mentre si incontravano Putin e Xi Jinping, nessuno a Washington sia in grado di spiegare come mai Israele non mette sanzioni a Mosca e Netanyahu tenga vivo da anni il patto con la Russia che gli consente di bombardare Hezbollah e Pasdaran iraniani in Siria.
«L’unico obiettivo strategico di Tel Aviv, condiviso a questo punto anche dagli americani, oltre a far fuori Hamas, è quello di gettare i palestinesi nel deserto egiziano del Sinai. E se Israele non occupa la Striscia, svuotata di metà della sua popolazione, a chi andrà questo lembo di Palestina? A una screditata Autorità nazionale palestinese? A un protettorato dell’Onu stile Kosovo? Nessuno lo sa dire perché tra Washington e Tel Aviv nessuno ha mezza idea strategica di cosa fare, se non cacciare i palestinesi insieme ad Hamas».