Israele-America a inseguire l’Iran, nemico comune rimasto

Biden e Netanyahu ieri, nel corso di una rovente telefonata, hanno affrontato la drammatica situazione umanitaria esistente a Gaza. Ma, al di là delle stringate dichiarazioni ufficiali, l’urgenza del colloquio ha riguardato soprattutto l’esistenza «di una minaccia reale, resa pubblica e decisamente praticabile, da parte dell’Iran».

Consiglio di sicurezza Usa

Lo ha detto John Kirby, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa, non chiarendo, però, quello che gli chiedevano i giornalisti. E cioè se, nel corso delle ultime ore, la Cia avesse avvertito l’Intelligence israeliana della preparazione di un possibile attacco iraniano. In particolare, Amos Harel, sul quotidiano Haaretz di Tel Aviv, ha scritto che «è emersa la possibilità che i Servizi segreti americani abbiano informato Israele di un attacco nei prossimi giorni, che comporterebbe il lancio di missili da crociera e droni contro infrastrutture strategiche dello Stato ebraico.

Tensione cercata da Netanyahu

Tensione alle stelle, cercata da Netabyahu. In ogni caso, la tensione è salita alle stelle e i segnali che arrivano da tutta la regione non promettono nulla di buono. Netanyahu ha immediatamente convocato il suo Gabinetto di guerra, in seduta straordinaria.  D’altronde, la guerra tra l’Iran e Israele, in un certo senso, è già cominciata. «Dopo l’attacco contro il Consolato di Damasco, che ha ucciso un paio di generali dei Pasdaran, ora tutti si aspettano la possibile reazione degli ayatollah. Questa volta Netanyahu ha varcato una linea rossa. Ha preso di mira direttamente l’odiato nemico, rompendo quelle che, per gli analisti, erano regole del gioco non scritte. Fatta in questo momento, sembra più una sfida, che un’azione studiata per fini strategici».

Provazione mirando a cosa?

Insomma, quasi una provocazione. E i sospetti crescono. Qualcuno, forse, sta cercando di allargare il conflitto, magari sperando in un’escalation contro Hezbollah, che porti a un’invasione del Sud del Libano? «Una rappresaglia iraniana diretta», secondo diversi analisti, è proprio ciò in cui spera il ‘partito della guerra, annidato nell’establishment israeliano. Sarebbe l’alibi necessario per dare fuoco alle polveri. Intanto, ci si prepara a tutte le evenienze. Ieri, i sistemi di localizzazione satellitare sono andati in tilt in tutto Israele. Tensione cercata da Netanyahu.

I contorti pensieri dell’oscuro Netanyahu

Una operazione, dicono gli specialisti, per sviare l’arrivo di eventuali missili balistici (in possesso dell’Iran), e cadere in una guerra vera.Un altro segnale, non proprio rassicurante, proveniente dalla sponda israeliana è quello che riguarda il richiamo dei riservisti. Gli esperti di strategia militare sanno benissimo che un’improvvisa chiamata di forze fresche, al di fuori della turnazione di routine, indica  spesso l’avvicinarsi di un conflitto. Nel caso specifico, l’IDF ha emesso due secche comunicazioni, per far sapere che saranno immediatamente richiamati nuclei di riservisti dell’Aeronautica. Mentre (e questo è altrettanto significativo) unità che avevano finito il loro periodo stabilito di ferma, dovranno continuare a combattere «a causa della valutazione della situazione».

Scontro geopolitico titanico

Il problema vero, però, è che nel caso del titanico scontro geopolitico tra Iran e Israele, non stiamo parlando di una crisi in cui si riflettono due posizioni monolitiche. Anche se Teheran rappresenta una teocrazia, e le decisioni finali (formalmente) spettano alla Guida suprema, Alì Khamenei, la lotta politica dietro le quinte è feroce. Le categorie distintive occidentali non hanno molto senso, nel definire gli schieramenti persiani. Si può dire che nel regime degli ayatollah si confrontano sostanzialmente due anime: quella religiosa-tradizionalista e quella più ‘dura e pura’ (gli “intransigenti”), incarnata dal Fronte della Stabilità della Rivoluzione Islamica (Paydari), che raccoglie anche l’eredità della cosiddetta «Corrente deviante», dell’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad. Si tratta di un blocco che potremmo definire ‘nazional-religioso’, in grande ascesa e con un’agenda di politica estera molto aggressiva.

Il blocco ‘nazional religioso’

Il braccio armato del regime è il Corpo delle Guardie rivoluzionarie. Queste ultime sono cresciute, tanto da diventare una sorta di Stato nello Stato, a tal punto da influenzare, secondo i momenti storici, anche la politica estera del Paese. Insomma, può sembrare paradossale, ma se oggi volessimo sapere ciò che farà l’Iran contro Israele, probabilmente nessuno sarebbe capace di rispondere. Forse nemmeno Alì Khamenei. Perché le decisioni finali, sono sempre frutto di sofisticati equilibri interni. A maggior ragione dopo il 12 aprile, quando il secondo turno elettorale, assegnerà i seggi ancora in ballo per il Parlamento. E le previsioni dicono che a fare il pieno saranno proprio gli estremisti del Fronte Paydari. Quindi, motivi di opportunità imporrebbero agli iraniani di togliere il dito dal grilletto. Almeno per ora. Certo, nel ‘puzzle’ mediorientale, dopo la guerra di Gaza, tutte le tessere hanno ripreso a traballare.

Allargamento del conflitto Iran e stretto di Hormuz

Un allargamento del conflitto fino all’Iran (e allo Stretto di Hormuz) sarebbe una catastrofe per l’America e per Biden in particolare. La sua tormentatissima campagna elettorale non reggerebbe un’altra guerra. Ma, vista la sua disastrosa situazione economica e sociale, prendere di petto Israele, anche per l’Iran sarebbe un azzardo suicida. Non solo. Gli analisti parlano già di trattative segrete, tra Washington e Teheran, per raggiungere una sorta di tacita intesa: stop agli attacchi delle milizie sciite verso l’US Army, in Siria e Iraq, in cambio di un’accelerazione della (quasi) completa ritirata americana dalla regione. Ovviamente, stiamo parlando di un’ eventuale rappresaglia iraniana diretta, contro bersagli sul suolo israeliano.

Bersaglio Isrele dove meglio comoda

Niente, però, impedisce che ad agire possano essere milizie sciite dell’Asse della resistenza. O, addirittura, veri e propri gruppi terroristici, che potrebbero prendere come bersaglio sedi diplomatiche dello Stato eb

 

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