
Dopo gli agricoltori rumeni che hanno protestato domenica scorsa, ieri è stata la volta dei ‘trattoristi’, gli agricoltori polacchi con i loro giganteschi mezzi di lavoro. La contestazione è stata capillare, interessando oltre un centinaio di località. La protesta è stata organizzata dalla sezione degli imprenditori agricoli di Solidarność, il leggendario sindacato libero fondato nel 1980 da Lech Wałęsa, ancora in vicinanza critica con le posizioni della destra populista di Diritto e giustizia (il Pis di Kaczyński), rispetto al fondatore decisamente critico e a sostegno del governo europeista ora al potere. Richiesta chiave, la messa in sicurezza dell’agricoltura europea e polacca e la riforma delle regole della Politica Agricola Comune, prima dell’eventuale e molto travagliato accesso dell’Ucraina all’Ue.
Rivendicazioni per tutto il settore come quelle sollevate la settimana scorsa dai trattoristi tedeschi che erano giunti fino alla Porta di Brandeburgo. La questione del «grano delle discordia» di provenienza ucraina, irrisolta da oltre un anno, quando in Polonia al governo c’era ancora il Pis di Jarosław Kaczyński, un partito appoggiato da molti elettori rurali. E l’avvicinarsi delle elezioni europee aiuta la mobilitazione interessata della politica. Le richieste dei coltivatori e allevatori in Polonia oggi più rappresentate dal Partito popolare polacco (Psl) entrato a far parte dell’attuale esecutivo guidato dai liberali di Piattaforma civica di Donald Tusk. Ma questa è partita interna, alimentata anche da una scorretta opposizione istituzionale da parte del presidente Andrzej Duda. Che giorni prima aveva graziato due parlamentari del suo stesso partito di estrema destra, arrestati e condannati per abuso d’ufficio.
La visita del premier Tusk a Kiev nei giorno scorsi a moderare i toni del non facile confronto degli ultimi mesi, dopo il primo sostegno totale e assoluto della Polonia alla causa Ucraina. Più in chiave anti russa che a favore di Kiev, diventa evidente adesso. Il primo ministro polacco ci ha tenuto a presentare di persona al presidente ucraino Zelensky un nuovo pacchetto di assistenza militare ma ha anche ammesso l’esistenza di «conflitti di interessi tra i due Paesi». Di fatto, poco o nulla è cambiato dopo la seminascosta crisi diplomatica della primavera scorsa. Anzi, le ‘incrinature’ fra Varsavia e Kiev sono aumentate negli ultimi mesi. Esempio su tutti, citato da Giuseppe Sedia sul Manifesto, il blocco del confine da parte dei camionisti polacchi concluso la settimana scorsa dopo due mesi di barricate.
Gli autotrasportatori polacchi avevano chiesto a gran voce la reintroduzione dei permessi di ingresso nell’Ue per i colleghi ucraini. Ma soprattutto ad aprile scorso Varsavia ha detto «nie», un no educato, ai cereali provenienti dal Paese vicino. Il giorno prima delle proteste dei trattori, il ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale Czeslaw Siekierski, ha confermato che la scelta governativa (vecchio e nuovo), non è destinata cambiare nei prossimi tempi: «L’embargo sul grano ucraino resterà in piedi fino a quando la Polonia non avrà concordato con l’Ucraina delle regole bilaterali sul transito di merci».
Alla riunione dei ministri dell’Agricoltura dell’Ue, la Polonia ha sollecitato l’Unione forse troppo schierata, ad adottare almeno, e solo come inizio, il modello concordato tra Romania e Ucraina che prevede la concessione di una licenza per l’export e il transito dall’Ucraina di alcuni prodotti in particolare.
Ma la «soluzione rumena» potrebbe non bastare a calmare le acque. Insoddisfazione degli agricoltori rumeni è stata plateale domenica scorsa, quando in Piazza della Costituzione a Bucarest c’era un solo trattore.