Pausa di Natale, poi tutti i problemi di prima, e forse qualcuno in più. Piero Orteca

«Un pianeta sempre più complesso, anzi, disordinato, non poteva non proporre un Natale pieno di mille incertezze. Tutte fedelmente riportato sulla stampa mondiale, ognuna con il suo spicchio di specificità, collegata da una trama invisibile. Un filo che lega non solo cronaca, geopolitica ed economia, ma anche, più idealmente, gioie, dolori, frustrazioni e speranze». Il ritorno atteso di Piero Orteca

‘Storm winter’ e i negazionismi criminali

I grandi giornali americani, le reti televisive, ma anche la britannica BBC, aprono le loro edizioni con quella che già viene definita una delle tempeste del secolo. Una “storm winter” che sta seppellendo sotto kilometri cubi di neve una parte del New England. È emergenza nazionale. Ma il punto non è solo questo: l’estremizzarsi dei fenomeni atmosferici e l’aumento della loro ciclicità, proprio in America, sta aprendo un accanito dibattito sulla necessità di accelerare la lotta al cambiamento climatico. Così la politica, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra.

America, legge di bilancio, spendere per cosa

E infatti, l’altro grande tema di cui si discute sulla stampa statunitense è quello sulle leggi di bilancio. I Repubblicani stanno oliando i cannoni e aspettano solo che arrivi l’anno nuovo, per cominciare a sparare ad alzo zero sulla Casa Bianca. Già ci ha provato il futuro speaker della Camera, Kevin McCarthy, definendo “vergognosa” la proposta di legge “omnibus” che prevede spese assortite per 2 trilioni di dollari. Nel Gop sono furibondi, accusano il Presidente Biden di comportarsi in maniera politicamente scandalosa. I Democratici, infatti, hanno presentato il “bill” di oltre 4000 pagine all’ultimo momento, senza dare a nessun congressista il tempo materiale per leggerlo e dibatterlo.

Sviluppo per Biden, inflazione per il Gop

Secondo McCarthy, la legge avrà un impatto devastante sull’inflazione e gonfierà ulteriormente il deficit federale americano che già tocca la cifra astronomica di 31 trilioni di dollari. Il leader repubblicano ha promesso “battaglia in 11 giorni”. Biden , dal canto suo, ha fiutato il vento che tira e giovedì passato ha tenuto un discorso di Natale molto conciliante. È stato, probabilmente, l’intervento più commovente dall’inizio della sua Presidenza. Gliene va dato atto. In sostanza, sotterrata l’ascia di guerra, ha esortato tutti a smetterla di considerare gli altri sempre come avversari, perché una società si costruisce sull’unità.

L’Europa? Bugie di Natale, guai da Capodanno

E l’Europa? Beh, la lingua batte dove il dente duole e nel Vecchio continente i malesseri più importanti arrivano dall’economia Cominciamo dal “core” dei nostri problemi, così come vengono riportati dalla stampa europea nel periodo natalizio. A novembre l’inflazione è rimasta inchiodata all’11,8 per cento, lasciando delusi e frastornati gli specialisti, che si aspettavano un calo di mezzo punto. Ma quando mai! I prezzi si sono fermati alle stelle, nonostante la stretta monetaria della Bce. Evidentemente qualcosa non quadra. O, forse, aveva ragione chi parlava di politiche antinflazionistiche europee fatte in modo “allegro”. Bene, allora sarà per il suo passato al Fondo monetario” internazionale o, forse, perché caratterialmente è fatta proprio in un certo modo, ma Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, le sue analisi le ha annunciate senza concedere manco un barlume di ottimismo.

Lagarde severamente incerta

E così, all’ulteriore rialzo dei tassi di 50 punti base (tutto sommato ampiamente previsto), si sono aggiunte una serie di “messa in guardia”: i ritocchi dei tassi continueranno, anche se si prospetta un 2023 tra stagnazione e recessione. Anche questa volta, la volata l’ha tirata la Federal Reserve, seguita a rimorchio dalla Bank of England. Gli americani fanno sul serio e hanno fissato il tasso sui rifinanziamenti al 4,50%. Gli inglesi si sono fermati al 3,50%, mentre la BCE viaggia su 2,50%. Questi differenziali hanno un’importanza notevolissima, specie per quanto riguarda il cambio dollaro-euro e, di conseguenza, l’acquisto di materie prime e semilavorati dell’Europa all’estero. In sostanza, importiamo inflazione. Ma il discorso è vecchio e lo abbiamo affrontato già molte volte.

Tra inflazione e recessione

Per questioni politiche, l’Unione Europea ha preferito fare galoppare l’inflazione a costo di evitare, fino all’ultimo, una recessione. Risultato: oggi si ritrova con rialzi dei prezzi, che non ne vogliono sapere di essere domati, e con prospettive cupe degli indicatori macroeconomici. Dunque la Lagarde mette le mani avanti e avvisa tutti, imprenditori, politici e mercati, che la lotta all’inflazione continuerà senza tregua anche il prossimo anno. È lo stesso concetto ribadito dal Presidente della BoE, Andrew Bailey, secondo cui la congiuntura economica nel Regno Unito “giustifica un’ulteriore energica risposta di politica monetaria”. Il pessimismo della Lagarde arriva in ritardo, per sua stessa ammissione.

Bce lenta e in ritardo

La lentezza della Bce nel contrastare la crescita dell’inflazione era chiaro a molti esperti, specie a fronte della politica emergenziale condotta da Jerome Powell alla Fed. Era questa eclatante differenza di strategie che avrebbe dovuto allarmare Francoforte. E invece no, adesso la Lagarde deve rincorrere e la sua azione è condizionata, in buona misura, dalle morse della Fed. Lei spera di guadagnare qualcosa puntando sulle “aspettative” e ha annunciato due rialzi in successione, di mezzo punto ognuno. I due interventi sono programmati per febbraio e marzo.

Titoli di Stato più onerosi

Ma c’è un altro problema che ci potrebbe interessare da vicino: da marzo la Bce comincerà a sbarazzarsi dei titoli dei debiti sovrani, che ha acquistato negli ultimi otto anni. Si tratta di 5 miliardi di euro. Ma soprattutto, visto il tempo di vacche magre, Paesi come l’Italia potranno scordarsi del “quantitative easing”. Ci sarà un meccanismo diverso (e più oneroso) anche se abbastanza fumoso. E andiamo all’obiettivo della “corsa”. Lo ha fissato Powell per la sua Federal Reserve: la battaglia dovrà portare a un risultato finale che prevede un’inflazione al 2 per cento. Fissare di questi tempi un simile traguardo, sembra una follia. Per farlo, in tre anni, ci vorrebbero tante cose, a cominciare da una recessione epocale, di quelle che lasciano i sistemi economici con tutte le ossa rotte.

Troppa America e Germania in crisi

Christine Lagairde non deve solo seguire con grande attenzione le mosse della Fed, ma deve anche fare i conti con i “dissidenti” all’interno del board della Bce, a cominciare da una “dura e pura”, come la tedesca Isabel Schnabel. Che non ha digerito il rialzo di solo mezzo punto. Questo approccio, sostiene l’economista, indora solo la pillola e non affronta radicalmente il problema. Si va avanti, insomma, mettendo pezze, con la necessità di dovere tornare a intervenire ancora e a lungo.

Cina ufficialmente ‘minaccia americana’

E infine il convitato di pietra: la Cina. Il South China Morning Post riporta le sferzanti parole del potente Ministro degli Esteri Wabg Yi, rivolte alla Casa Bianca. “Il 2023 sarà l’anno dell’ulteriore rafforzamento dei legami con la Russia”. E per sottolineare la non esclusiva simbolica portata della dichiarazione, le forze armate cinesi hanno avviato nuove massicce esercitazioni nello Stretto di Taiwan. La leadershp di Pechino è di nuovo sul piede di guerra. Come scrive il Global Times, versione internazionalista del Quotidiano del Popolo, l’approvazione americana del National Defense Authorization Act, designa la Cina come “minaccia”, aprioristicamente, indipendentemente dalla realtà dei fatti.

Solo per un pregiudizio ideologico. Una scelta politica, quella dell’Amministrazione Biden, che sta contribuendo a inasprire ulteriormente il confronto tra gli Stati Uniti e il colosso asiatico.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro