
‘Ci eravamo illusi’ ammettono gli esponenti militari occidentali più aperti. Altri studiosi del fenomeno sono molto più severi e denunciano la inconsistenza di partenza del progetto. Molti pensavano di poter bloccare l’industria militare russa con una stretta tecnologica sui microchip, i semiconduttori e le batterie agli ioni di litio. E il primo semestre di embargo era sembrato addirittura promettente: «c’erano stati inceppamenti nella produzione russa di difese terra-aria, di carri armati (T-90 e T-14), di aerei radar (A-100) e di centrali di comando per navi da guerra». Precisi al dettaglio.
«Poi Mosca ha sguinzagliato in tutta Europa l’intelligence militare (Gru) e quella per l’estero (Svr). Ha creato una rete di società fantoccio, con porte girevoli, importazioni clandestine, buoni intermediari e grosse somme di danaro».
Gli scambi russo-occidentali, diventati indiretti, sono esplosi, balzando dal 54% del 2021 al 98% di sine 2022. Anche se il direttore dei servizi segreti olandesi, Jan Swillens, prova a giustificare affermando che nei Paesi Bassi c’erano decine di aziende irretite, spesso inconsapevolmente. Pochi i controlli. Le imprese non indagavano quasi mai sulla nazionalità dei committenti. Stesso discorso per la Svizzera.
Gli 007 e le dogane europee hanno tentato inasprendo i controlli, ma invano perché i trasferimenti ‘illeciti’ avvengono sempre attraverso Paesi insospettabili. Il ‘Rusi britannico’, il ‘Wilson Center’ e l’’European Policy Center’ alla fine sono costretti a concludere che le sanzioni euro-americane, pur godendo extraterritorialità, hanno un affetto decisamente debole visto che gran parte del mondo continua a commerciare con la Russia. E le ‘porta girevoli’ non aiutano: pubblici dipendenti che esercitavano ‘poteri autoritativi’ che vengono assunti dagli stessi privati destinatari dei controlli.
Francesco Palmas è categorico: «L’embargo occidentale fa acqua da tutte le parti». Per avere successo, le sanzioni dovrebbero bloccare qualsiasi trasferimento oltre i confini nazionali, contravvenendo alle leggi del mercato. Ma risultò impossibile anche durante la Guerra fredda quando il Comitato per il controllo delle esportazioni si rivelò impotente avendo constatato che l’Armata Rossa stava combattendo in Afghanistan con materiali in parte europei. E allora erano mercati ancora nazionali, figuriamoci oggi in piena globalizzazione.
Sempre il Guerra fredda, un istituto di Colonia che monitorava i rapporti fra le due Germanie, scoprì che il 70% delle armi del patto di Varsavia integrava tecnologie rubate o copiate. I vettori SS-20 ne erano un buon esempio: il giroscopio delle 3 testate era costruito con apparecchiature del Vermont. La struttura in carbonfibra della punta conica proveniva dal New Jersey, mentre i veicoli di lancio erano disegnati con software del Mit di Boston e computer Ibm di New York.
Oggi è lo stesso. A inizio luglio, il Gruppo di lavoro internazionale sul rispetto delle sanzioni ha dovuto ammettere detto che nei traffici tecnologici con il Cremlino sono impelagate almeno 155 società mondiali. I traffici sarebbero così copiosi che Mosca sarà in grado di raddoppiare la produzione missilistica, portandola a più di 1.000 unità l’anno. La storia sconfessa la pratica delle sanzioni. Le uniche funzionali furono quelle contro il Sudafrica dell’apartheid, perché applicate su scala mondiale. L’embargo ha invece fallito contro Cuba, contro l’Iraq di Saddam Hussein, contro l’Iran post-rivoluzionario e contro la Siria di Assad.
Agathe Demarais, direttrice del ramo previsioni mondiali all’unità di intelligence dell’Economist (strana struttuta giornalistica vero?) e la sola che dive di crederci ancora confida: «con l’Iran ci sono voluti dieci anni di embargo per far sedere il regime al tavolo sul nucleare». Perché non dovrebbe funzionare anche con la Russia? Peccato che l’Iran la bomba se la stia facendo nonostante le vigilanze e le minacce Usa e israeliane. Sanzioni europee a quota 11, ma non includono nella lista molte aziende cinesi.
Già prima della guerra, Pechino era il principale fornitore di Mosca in fatto di componenti elettroniche, apprezzate soprattutto dall’industria. Dal 2015, la Cina investe massicciamente nella ricerca tecnologica prima per i propri bisogni interni. E nell’aprile 2022 ha annunciato un piano di investimento tecnologico da 38,6 miliardi di dollari destinati in gran parte alle componenti hi-tech e alla formazione di talenti nazionali. Un copia e incolla di prodotti altrui.
Mosca, la conclusione su Avvenire dopo la successione di notizie sorprendenti, non punta a primati, ma a come risolvere i fatti. Tutti i mezzi possibili per ridurre la dipendenza dalle catene internazionali e di sottrarsi alla stretta delle sanzioni, per farsi autarchica anche nell’alta tecnologia, che resta il viatico di forze armate e industrie all’avanguardia.