
«Lo slogan è tornato a risuonare nelle strade di Tunisi a dodici anni dalla cacciata di Ben Ali, il 14 gennaio 2011, benché la capitale fosse blindata dalle forze di sicurezza che per impedire proteste». La memoria di Giuliana Sgrena sul Manifesto, che parte dalla rivolta e dalla illusoria ‘rivoluzione dei gelsomini’, la ‘primavera araba’ timìnisina che le aveva anticipate tutte. Ma oggi la Tunisia del dopo Bel Ali rischia di esploderci sotto i piedi, guardando alla geografia, dove pezzi d’Italia sono più a sud di Tunisi.
Forte di quel 70 per cento si speranze espresse nel voto, il presidente ha visa via concentrato nelle sue mani tutti i poteri dello stato: sospeso il parlamento, approvata una costituzione fatta su misura e inscenata una farsa elettorale che però non ha tratto in inganno i tunisini che al 90 per cento hanno disertato le urne, e non per disinteresse ma per risposta politica. Lunedì è cominciata, nell’indifferenza generale, la breve campagna elettorale per il secondo turno delle legislative, il 29 gennaio. «Interessati solo i candidati e il presidente che, dopo il flop del primo turno, ha sostenuto. ‘La partecipazione si misura sui due tempi’. Come nelle partite di calcio», l’amara ironia di Sgrena.
Il 14 gennaio in piazza i tunisini hanno riproposto le richieste del 2011: pane, lavoro, dignità. La situazione del paese, sull’orlo della bancarotta, è infatti disastroso: l’indebitamento rappresenta l’80 per cento del Pil e a causa del debito sono bloccate le importazioni, mancano latte, zucchero, burro, caffè, medicine.
La situazione è così drammatica che la Libia ha inviato nei giorni scorsi 96 camion carichi di zucchero, semola, riso e olio d’oliva! «Chissà se i ministri italiani Tajani e Piantedosi, che ieri erano a Tunisi per bloccare l’emigrazione, si sono resi conto che ai tunisini manca anche la pasta?». Se mai fosse, non l’hanno detto a noi della stampa, visto che nulla abbiamo letto su una situazione che invece di fermale, le migrazioni, presto le moltiplicherà.
«Si riparte dunque dal 2011? La rivoluzione dei gelsomini non ha dato l’esito sperato, ma i processi di democratizzazione dopo una dittatura sono spesso ostacolati dalla mancanza di istituzioni solide, mire personali, corruzione. Così il parlamento è stato ostaggio degli islamisti o della frammentazione politica che ha aperto la via all’autoritarismo del paladino dei senza-partito, Kais Saied».
L’opposizione al ‘golpe’ del presidente non sembra tuttavia aver ridato credibilità ai partiti, con l’unica eccezione del Partito di Abir Moussi, la carismatica avvocata già leader del partito di Ben Ali, ritenuta dai sondaggi, l’unica alternativa valida al presidente. Come gli altri partiti dell’opposizione Abir Moussi chiede le dimissioni del presidente e nuove elezioni, ma nello stesso tempo accusa l’islam politico rappresentato da Rachid Ghannouchi fondatore di ‘Ennahdha’, la versione tunisina dei Fratelli musulmani, di tutti i mali dopo il 2011. Travolto da scandali e inchieste giudiziarie che hanno portato in carcere anche l’ex-primo ministro Ali Larayedh, Ennahdha ha esaurito il credito politico che aveva permesso agli islamisti di vincere le prime elezioni dopo il 2011.
L’Unione generale dei lavoratori tunisini ha invitato i sindacalisti a mobilitarsi «per una battaglia nazionale ben organizzata per salvare il paese», con la possibile richiesta di elezioni presidenziali anticipate, ma con una nuova legge elettorale. Ne stanno discutendo con l’Ordine degli avvocati, la Lega tunisina dei diritti dell’uomo e il Forum tunisino dei diritti economici e sociali. Quasi una nuova edizione di forze sociali che nel 2015 aveva vinto il Premio Nobel per la pace. Il ‘Quartetto’ che nel 2013 era stato decisivo per evitare che il paese, segnato da assassini politici e disordini, precipitasse nella guerra civile.
Società civile e partiti ancora una volta divisi. Per la politica, il punto di partenza è l’uscita di scena di Kais Saied. Mentre il sindacato ritiene indispensabile consultare il presidente sulle iniziative da prendere per uscire dalla crisi che sta letteralmente travolgendo il Paese.