
«Il governo deve accettare la responsabilità dei propri errori. Fare finta di non averli commessi e sperare che le cose vadano magicamente per il verso giusto è la cosa più sbagliata». Logica severa ma incontestabile quella della ormai ex ministra Suella Braverman. Al centro della crisi che sta lacerando Londa e il Regno di Carlo III, le catastrofiche scelte di bilancio di Liz Truss, che hanno causato in pochi giorni un crollo della sterlina e la fibrillazione dei mercati finanziari. Nuovo responsabile degli Interni è stato nominato Grant Shapps. Va ad aggiungersi all’altra new entry, quella di Jeremy Hunt, diventato qualche giorno fa Cancelliere dello scacchiere, al posto di Kwarteng. Sappiamo che Hunt ha immediatamente stracciato tutti i programmi fiscali (espansivi) sottoscritti, in deficit, dalla Truss.
D’altro canto, le cifre riportate dal Financial Times non ammettono repliche. Quando la nuova premier è arrivata, in cassa c’erano 30 miliardi di sterline di attivo. La “Trussanomics creativa”, tagli alle tasse e spese senza coperture, ha creato un “buco” di 70 miliardi di sterline. Compresi dice il FT (testuale) i cosiddetti “interessi dei deficienti”, cioè quelle somme da pagare in più, sui titoli di Stato, per colpa di politiche finanziarie così squinternate. Che dire? Il Regno Unito, il grande malato del Vecchio continente, può essere considerato, a tutti gli effetti, il vero “Paese laboratorio” su cui parametrare le prossime mosse di politica economica dell’Eurozona. I gravissimi errori commessi dalla premier conservatrice Liz Truss e dall’ex Cancelliere dello scacchiere Kwasi Kwarteng hanno portato le finanze pubbliche di Sua Maestà sull’orlo del baratro o peggio, di un cratere in eruzione.
Ieri, a confermare l’estrema gravità della crisi finanziaria, sono arrivati anche i dati sull’inflazione di settembre: raggelanti. I prezzi sono tornati a salire in doppia cifra (10,1%), dopo la breve tregua di agosto, quando erano arretrati fino al 9,9%. Un valore inaspettato da molti analisti, convinti che gli interventi della Banca d’Inghilterra e i ribassi dei costi delle materie prime energetiche potessero incidere più positivamente. Insomma, Britannia docet, sembra proprio che l’inflazione, scappata di mano a tutti (a cominciare da Biden) abbia ormai raggiunto una fase di “autoalimentazione”, mentre l’intervento delle banche centrali si rivela acqua fresca. Come al solito è un problema che potremmo definire “di dissonanza costi-benefici”. Ci spieghiamo.
I rialzi dei tassi delle banche centrali (drastici, ripetuti e ravvicinati, perché si è perso tempo) fanno andare in recessione i sistemi economici, più velocemente di quanto facciano calare l’inflazione. Quest’ultima è molto più persistente del previsto e soprattutto, partita dal settore dei carburanti e di certe materie prime, ora tende a espandersi a macchia d’olio a tutti i comparti dell’economia. Ergo: puntare la politica di disinflazione principalmente sull’energia lascia scoperto il resto del problema.
Il “Times” ha pubblicato una scheda comparativa, tra agosto e settembre, per disaggregare i dati relativi all’inflazione secondo i settori. Cibo e bevande sono aumentati di un astronomico 1,4% (fino al 14,5%); mobili e casalinghi dello 0,6% (10,7%); affitti e immobili 0,2% (fino al 20,2%); ristoranti e alberghi dell’1% (9,7% totale). Complessivamente, tutte le merci sono aumentate del 13,2%. La “terapia” monetaria finora seguita dalla Bank of England è stata quella di alzare ripetutamente i tassi. Ma, come si vede, i risultati sono stati modesti, anche perché le scelte cervellotiche del binomio Truss-Kwarteng hanno in parte contribuito a cronicizzare la crisi. Esasperandola, anzi, in alcune aree, come quella dei Fondi pensione. Vista l’estrema resistenza dell’inflazione britannica, comunque, è possibile ipotizzare che la BCE possa alzare per la settima volta nel 2022 il suo tasso di riferimento, portandolo tra il 2,75 e il 3%.
Bisognerà vedere se, per quella data, Liz Truss, sarà ancora Primo Ministro. Ieri in Parlamento si discuteva la legge di autorizzazione al “fracking” da scisto, la frantumazione delle rocce per spremere fino all’osso la possibilità di estrarre più idrocarburi. Con rischio inquinamento, evidentemente. I laburisti sono contrari. I conservatori favorevoli, anche se c’è una nutrita pattuglia di anti-Truss decisi a votare contro. In questo caso, la signora ha già detto che se ne andrebbe.
§§§