«I francesi hanno investito troppo nel Niger e non possono perderlo; nella regione del Sahel ormai il Ciad è rimasto il loro ultimo baluardo», la cinica la fotografia politica. Ma resta il Ciad, e forse non è tra le sue grandi fortune. Da quando nel 1960 N’Djamena è divenuta indipendente, nei confronti della sua ex colonia Parigi ha mantenuto una forma di tutela. Il Ciad doveva restare un alleato chiave nella regione del Sahel, sia sul piano politico che su quello militare e la presenza dei soldati francesi è stata una costante. Golpe o non golpe, e senza mai nascondersi dieto la democrazia.
Nel 1986 Parigi lanciò l’operazione ‘Eparvier‘ per salvare il presidente Hissene Habré, un golpista che aveva aiutato a prendere il potere e che anni dopo sarebbe stato condannato all’ergastolo da un tribunale panafricano per crimini contro l’umanità. Allora l’intervento francese permise di respingere un’offensiva militare ordinata dal colonnello libico Muammar Gheddafi: «la cosiddetta guerra delle Toyota», con i pickup con le mitragliatrici sul pianale di carico a sfidarsi nel Sahara.
Un altro golpe, quello del 1990 di Idriss Deby Itno, il padre dell’attuale generale-presidente, era stato messo a segno senza che Parigi si opponesse. In seguito, nel 2008 e nel 2019, i servizi di intelligence e i bombardamenti francesi avevano bloccato la strada alle colonne dei ribelli che minacciavano N’Djamena, con i francesi, alleati numero uno di Mahamat Deby Itno, il generale che ha preso il potere alla morte del padre-presidente sospendendo la Costituzione, ma che per Parigi resta dalla parte giusta. A differenza dei militari golpisti del Niger.
Il golpe del 26 luglio in Niger ha seguito quelli in Mali e in Burkina Faso e non è stato il primo colpo al sistema di alleanze di Parigi. Uno di troppo, forse: ed è con un’iniziativa guidata dai Paesi più vicini ai francesi che la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao) minaccia un intervento militare nel caso a Niamey ‘non sia ripristinata la legalità costituzionale’. In Niger sì, altrove ma lì vicino, non è in caso di insistere e la partita apertamente di potere e post coloniale diventa trasparente nella sua confusa gestione segnata da timori e dubbi.
La tensione è alta e, avverte l’agenzia Dire (dire.it) e conferma un anonimo diplomatico tra i pochi e incerti ancora presenti da quelle parti. «Ai militari prudono le mani», lasciando nel dubbio di quale parte militare si tratta: Intento è scaduto l’ultimatum rivolto dalla giunta a potere perché l’ambasciatore di Parigi lasci il Niger, ma tutti sanno che questi colpi di spillo sono soltanto rinvii di una resa dei conti molto meno diplomatica che prima o poi dovrà arrivare. Scusa Mohamed Bazoum, il presidente deposto, alleato di riferimento dei francesi.
Anche lui, ex golpista, poi eletto e diventato democratico, ma soprattutto, alleato occidentale sia per la stretta sui migranti verso l’Europa, sia sul piano energetico, perché continuava ad assicurare le esportazioni dell’uranio nigerino destinate alle centrali nucleari d’Oltralpe.
Di stanza a Niamey, la capitale ribelle, i francesi hanno circa 1300 militari. ‘Fonti informate’ a N’Djamena riferiscono che parte di queste forze stanno già convergendo verso il Ciad, l’ultimo baluardo di Parigi nel Sahel. Contando sul fatto che la guerra per loro la facciano altri. «Con i loro droni in partenza dalla provincia del Lago, i francesi sono pronti a fornire informazioni di intelligence a supporto di un’azione guidata da Senegal, Costa d’Avorio, Benin e Nigeria». I quali militari, non è chiaro se si stanno preparando o stiano esitando ad affrontare una pericolosa guerra in conto altrui.
I caccia francesi in decollo a N’Djamena partono da Camp Kosseï, la base francese nella capitale ciadiana. Nel 2021 i militari di stanza erano 800. Con la crisi nigerina, il loro numero potrebbe aumentare. Anche perché la famiglia Deby al potere in quel Paese è una garanzia: «negli anni scorsi l’esercito del Ciad ha partecipato con Parigi a operazioni militari contro gruppi armati di matrice islamista anche nella zona della ‘triplice frontiera’, al confine tra Mali, Burkina Faso e Niger». Jihadisti di allenamento, ma adesso lo scontro sarebbe tra eserciti nazionali.
«Nubi cariche di pioggia preannunciano un temporale e a N’Djamena l’atmosfera è come sospesa», la cronaca quasi letteraria di Dire. E scopriamo che i taxisti evitano volentieri di passare davanti al ‘Palais présidentiel’. «Meglio non rallentare e soprattutto non scattare foto con il cellulare», spiega chi sa. «È accaduto che i soldati di guardia sparassero». Non lontano dalla piazza, nell’ottobre scorso, dopo la scomparsa di Deby padre (il golpista amico ma troppo cattivo), quando i manifestanti avevano sfilato denunciando una trasmissione del potere per via ereditaria e chiedendo il rispetto delle norme costituzionali.
I militari ciadiani ben addestrati e molto amici dei militari francesi, avevano aperto il fuoco uccidendo, secondo fonti della società civile, decine di persone.
Quest’anno, per aver criticato la condotta dei soldati e del governo del Ciad, l’ambasciatore tedesco Jan-Christian Gordon Kricke è stato espulso dal Paese. Una scelta definita ‘deplorevole’ dall’Unione Europea (solo quello), ma sulla quale la Francia non si è espressa in modo diretto.