Lasciando che il poco e il niente prendano spazio

Ci si incontra per la strada, di sera col sole che scompare dietro il paese, e qualcuno saluta con un: che fate passeggiate? Col cane al guinzaglio, nella strada parallela a quella di Vald’O e di casa, chiacchierando a passi lenti, uno che cosa potrebbe fare di diverso dal passeggiare? Frescheggiate, quindi… Già.

Poetica del saluto estivo, quando è caldo, troppo caldo; quando rinfresca, quando non piove da mesi e quando è piovuto ma poco e quindi l’aria è densa di umidità. Poi c’è quando piove troppo, e i panni sono stesi, e quando la grandine fa danni.

Insomma, la vita. E la sua rappresentazione incidentale nel breve spazio di un incontro. Per parlare d’altro. Per scambiarsi il sorriso. Per continuare a passeggiare, frescheggiare, col canetto al guinzaglio, lasciando scegliere al suo naso umido la strada da percorrere. Una deriva la nostra al seguito della sua, olfattiva. Verso altri incontri, altre constatazioni sull’azione compiuta, sulla stagione, sulla pioggia, sul deserto di quest’anno, sul fatto che sono tutti al mare. O tutti in montagna, o tutti all’estero.

Momenti delicati e gentili. Ci si ferma il giusto. Due battute e via. Riempiendo lo spazio del saluto con qualcosa di semplice.

E io che ho sempre detestato queste inutilità, ora le adoro. Quasi le attendo con gioia nel cuore. Aspetto all’angolo della strada la anziana col bastone e il cappellino di paglia che sta arrivando e che mi parlerà del sole caldo e dell’ombra, dell’ora giusta per uscire a comprare il pane. Mi godo il momento dello scambio. Mi sembra un abbraccio con persone che conosco appena e che portano con sé un mondo, un peso o una leggerezza, un silenzio. Poi un cenno con la testa, una parola. Un tessuto di umanità. Di vita oziosa, come passeggiare senza meta, sorridere, scambiarsi lo sguardo: lasciare che il poco e il niente prendano spazio.

Anche sulla soglia di Vald’O si volge il rituale del saluto, e del dialogo. Mi interesso del tempo e facendolo mi interesso dell’altro che senza meta vaga, o magari va dalla figlia o a prendere un gelato. Mi prendo cura del mondo e il mondo si prende cura di me. Anche nel frescheggiare della sera, dopo una giornata troppo afosa, in una linea d’ombra esistenziale talvolta difficile, sempre dolce.

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