L’America che deve decidere tra Ucraina e Israele

Israele freme per vendicarsi dell’Iran, l’Ucraina traballa sotto la spinta dei russi e Biden moltiplica le sue affannose pressioni sul Congresso per avere i 95 miliardi di dollari necessari a sostenere «la sicurezza nazionale» di tre Paesi: Ucraina, Israele e Taiwan.

‘Salvatori del mondo’ impantanati

L’appello di Biden (fatto con un occhio rivolto ai sondaggi elettorali) è alla Camera dei rappresentanti perché il Senato aveva già detto sì. Camera, a stretta maggioranza repubblicana, divisa a sua volta tra ‘trumpisti arrabbiati’ e conservatori ‘tradizionali’. Lotte fratricide, all’interno del partito, che hanno finito per paralizzare la discussione sulla legge, ormai ferma da due mesi.

Scoglio Ucraina

Lo scoglio apparentemente insormontabile è l’Ucraina. Oltre mezzo Partito repubblicano, seguendo le indicazioni di Donald Trump, si oppone a un rifinanziamento così massiccio (oltre 60 miliardi di dollari). Mentre, per quanto riguarda gli stanziamenti per Israele e Taiwan, i rappresentanti del partito repubblicano non dovrebbero sollevare obiezioni. Proposta di ‘spacchettare’ gli impegni finanziari, singolarmente. Facendo passare, prima di tutti, quelli per Israele e Taiwan, e votando separatamente per l’Ucraina. Col rischio, in quest’ultimo caso, di vedere bocciata la proposta. E una legge modificata che dovrebbe comunque tornare al Senato, perdendo altro tempo.

Pantano

Sullo sfondo, l’annosa questione del confine meridionale, contro l’immigrazione dall’America latina. Ricatto politico, interno, esterno, intrecciato. Nulla di molto nobile. Con lo ‘speaker’ (il presidente) repubblicano del Congresso, che rischia di perdere il posto (la deputata della Georgia che gli grida in faccia: «Non finanziare l’Ucraina»). Dall’altro lato, i Democratici, cercano di drammatizzare il clima esistente in campo internazionale, per sollecitare una decisione immediata della Camera. Hakim Jeffries, lo ‘speaker ombra’ del partito di Biden, ha detto, esagerando, che «questo è un momento storico, nel quale bisogna decidere se essere Churchill o Chamberlain», con chiaro riferimento alla politica di ‘pacificazione’ seguita dal primo ministro britannico nei confronti di Hitler fino alla vigilia della guerra.

‘Guerre americane’, chi usa chi

A destra, invece, come riporta il Guardian, «contrari a usare la situazione in Israele come una falsa giustificazione, per far passare gli aiuti all’Ucraina senza alcuna compensazione e senza sicurezza per i nostri confini aperti». Certo, mai come in questo momento negli Stati Uniti si mischiano politica e geopolitica. Elezioni presidenziali ed affari esteri, in questo 2024, vanno a braccetto. Biden deve tenere in piedi il fronte delle guerre ‘americane’, che abbraccia i tre quarti del pianeta. Parte dal cuore dell’Europa, scende fino al Medio Oriente, attraversa il Golfo Persico e risale fino all’Asia Centrale. Per poi rituffarsi nel Mar Cinese meridionale e, costeggiando il Pacifico, raggiungere la lontanissima Penisola coreana.

La pace futura tra ‘sistemi d’arma’

Se come ‘messaggera di pace’ l’Amministrazione Biden lascia un po’ a desiderare, come ‘broker’ dei sistemi d’arma Made in Usa, è invece un team di successo. Per qualcuno, il vero ‘buco nero’ della politica federale è il «complesso militare-industriale», una potente rete di aziende che lavorano per la difesa e che hanno fatturati (e utili) da capogiro. A tal punto da influenzare, in maniera significativa, tutta la vita e le scelte politiche del Paese. Anche le Presidenziali, è ovvio.

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