La dote millenaria dell’Iraq sono il Tigri e l’Eufrate, i fiumi che forniscono il 98% delle acque superficiali all’antica Maesopotamia. Ricchezza che va spartita con altri paesi. Entrambi i fiumi hanno origine in Turchia. L’Eufrate attraversa la Siria prima di entrare in Iraq, e i principali affluenti del Tigri scorrono dall’Iran. Quindi si uniscono allo Shatt Al Arab prima di sfociare nel Golfo dove, tra Bibbia e ricostruzione storiche, gli staripamenti benefici dei due fiumi, il loro limo, creavano il Paradiso terrestre dove tutto cresceva spontaneo a soddisfare i bisogni dell’uomo.
Oggi i flussi di Tigri ed Eufrate sono diminuiti negli ultimi decenni, scendendo precipitosamente dal picco di quasi 80 miliardi di metri cubi degli anni ’70. Gli ultimi dati del ministero iracheno della pianificazione ci dicono che nel 2020 la fornitura d’acqua dal Tigri era di 11 miliardi di metri cubi e quella dei suoi affluenti di 19 miliardi di metri cubi. La fornitura dall’Eufrate è di 20 miliardi di metri cubi. L’approvvigionamento idrico totale dell’Iraq dai due fiumi, perciò, è stato –dati di 2 anni fa-, di 50 miliardi di metri cubi, 30 miliardi in meno rispetto agli anni ’70.
E se le tendenze attuali dovessero continuare, l’Iraq potrebbe dover affrontare un deficit di 11 miliardi di metri cubi di acqua all’anno entro il 2035, segnala Pagine Esteri.
La diminuzione dell’acqua del Tigri e dell’Eufrate in Iraq è in gran parte dovuta a dighe e progetti di irrigazione in Turchia e, in misura inferiore, in Iran. Ankara ha costruito decine di dighe che hanno ridotto i flussi a valle di entrambi i fiumi. Teheran è intervenuta sugli affluenti del Tigri approfittando della mancanza di accordi vincolanti per la condivisione dell’acqua. Presto sulle quote d’acqua è previsto un incontro tra Iraq, Siria e Turchia, annuncia il ministro iracheno delle risorse idriche Mahdi Rashid Al Hamdani.
Per l’esperto economico, Mazen Al Mayyali, l’Iraq potrebbe convincere Turchia e Iran a una maggiore cooperazione usando lo sviluppo del commercio come carta vincente nei negoziati, segnala Michele Giorgio che subito segnala i molti problemi da superare. A partire dallo stallo politico in cui si trova il paese da 10 mesi, che paralizza l’attività dello Stato. Attivisti della società civile irachena e volontari hanno lanciato, anche sui social, una campagna per incoraggiare il rinverdimento delle terre aride in tre distretti a Baghdad, e nei governatorati di Karbala e Ninive.
Consigliano la coltivazione di alcune specie di piante autoctone con la capacità di trattenere il suolo e l’acqua e dare ombra. E sollecitano i cittadini iracheni a piantare alberi e prendendosi cura di loro. Ma la portata della sfida è enorme e non può essere vinta senza piano d’azione delle autorità irachene in cooperazione con gli Stati confinanti, sottolinea Michele Giorgio. La Banca Mondiale ha previsto che l’Iraq entro il 2030, avrà meno di 1.000 metri cubi d’acqua per persona.
«La riduzione del 20% dell’approvvigionamento idrico provocherà mutamenti nei raccolti e il cambiamento climatico potrebbe ridurre il Pil reale fino al 4% (6,6 miliardi di dollari), rispetto ai livelli del 2016», si legge nel rapporto.