Il 21 febbraio 1916 sul fronte francese cominciò la battaglia di Verdun, probabilmente lo scontro più sanguinoso di tutta la guerra sul fronte occidentale. I tedeschi la chiamarono ‘Operazione Giudizio’ alludendo alla resa dei conti con la Francia, ma in realtà lo scopo era quello di usurare fino alla rottura la capacità di resistere, in altre parole dissanguare l’avversario. Nonostante la città di Verdun fosse stata praticamente distrutta già nelle prime ore di un furioso bombardamento, i tedeschi continuarono colpendo indiscriminatamente altri centri abitati della zona, strade, ponti, depositi e anche ospedali militari.
La logica di questa distruzione sistematica si basava anche sull’effetto psicologico, cioè incutere ai francesi il terrore di essere sempre bombardati per fare in modo che considerassero a rischio qualsiasi punto del fronte o delle retrovie. Dopo il panico iniziale i francesi però cominciarono una resistenza disperata che via via si organizzò: si cominciò freneticamente lo scavo di trincee e ricoveri per resistere al fuoco, ma soprattutto si disposero abbondanti rifornimenti e cambi regolari alle truppe in prima linea in maniera tale che nessun reparto restasse per troppo tempo sotto il fuoco.
Come fu chiamato sarcasticamente dai soldati si trattava del ‘tritacarne’ e, sebbene il soprannome fosse tutt’altro che bene augurale, la resistenza francese continuò fino a dicembre.
Sul fronte di Verdun, lungo circa una dozzina di chilometri furono schierati solo da parte tedesca più di milleduecento cannoni, circa uno ogni dieci metri che per lunghi mesi spararono senza sosta sul fronte avverso: basti ricordare che la scorta iniziale di proiettili di artiglieria – esaurita e ripianata più volte – assommava a oltre due milioni e mezzo di pezzi. Ciò significò che un numero a tutt’oggi incalcolabile di granate esplosero distruggendo ogni forma di vita, qualsiasi coltura agricola od ogni altro manufatto dell’uomo.
Una discreta percentuale di esse tuttavia non esplose dopo l’urto, sia per la qualità non sempre ottima a causa di una produzione di massa spinta al massimo, sia per caratteristiche del terreno, come il fango o gli acquitrini che letteralmente inghiottirono gli ordigni. Non contenti di questo inaudito schieramento di cannoni, i tedeschi, per il bombardamento aereo e per l’osservazione, impiegarono più di cento cinquanta aeroplani e alcuni dirigibili Zeppelin.
Commisero però anche degli errori: gli attacchi delle fanterie spesso non furono coordinati e si intestardirono a volte su obiettivi di scarso valore. Un altro errore commesso fu quello di non avvertire gli alleati austriaci della grande offensiva in Francia che assorbì enormi risorse delle quali l’alleato non poté usufruire.
Ancora una volta a pagare il prezzo della devastazione furono le popolazioni civili che dopo la guerra non poterono riprendere le consuete attività agricole, senza contare altri danni per la presenza nel terreno di sostanze chimiche o residui degli esplosivi. Nel 1919, di fronte alle enormi difficoltà per bonificare dagli ordigni inesplosi i terreni sui quali si erano svolti i furiosi combattimenti, il ministero francese delle ‘Regioni liberate’ istituì un’apposita cartografia che suddivideva i terreni in tre fasce distinte: verde, gialla e rossa. Gradatamente fu possibile solo nelle prime due fasce riprendere attività quasi normali, sebbene non mancarono ‘incidenti’, ma rimase comunque la cosiddetta ‘Zona rossa’.
All’interno di quest’area, vasta circa centoventimila ettari, esistono ancora oggi delle piccole zone che non sono state completamente bonificate, ossia liberate del tutto da ordigni, e per questo la sola attività è rimasta la forestazione. Secondo il sito ufficiale del ministero della difesa francese nel 2017 sono stati ancora recuperati ordigni inesplosi e cioè a centouno anni dalla battaglia di Verdun, mentre nel 2012 è stata recuperata la salma di un soldato che è stato identificato e sepolto in un cimitero di guerra.