
«L’esecutivo di Washington segnala a Kiev che è necessario e possibile parlare con il Cremlino. Come fatto per il rischio atomico, si potrà fare in un futuro non troppo lontano per un cessate il fuoco. Linea negoziale ancora troppo acerba per emergere in piena luce, ma non così distante da impedire di far vedere qualche barlume», la premessa di Limes, in una delle sue analisi attente.
«Gli Stati Uniti non vogliono che l’intransigenza ucraina chiuda strade percorribili. Inoltre, si mostrano attenti alla ‘fatica’, definita ‘cosa reale’, di alcuni alleati in Europa, Africa e America Latina (qui svetta il Brasile del neoeletto Lula, piuttosto scettico verso il presidente ucraino Volodymir Zelensky)». Gli americani in una posizione mediana tra la cautela degli europei occidentali e di buona parte del resto del mondo e l’oltranzismo degli europei orientali, il blocco dei baltici che velleitariamente la guerra la vorrebbero portare sino a Mosca.
Fare presto ad evitare, oltre all’uso della Bomba, un cedimento del fronte degli alleati prima che qualcuno. Esempio temuto la Germania, si chiami fuori dalla coalizione.
«Decisiva, ma clamorosamente passata inosservata, la discussione sulla Crimea», rileva Federico Petroni. «Voglio vedere il mare», ripete Zelensky, e gli alleati concordano che l’Ucraina dovrà/dovrebbe comprendere la penisola strappata dai russi nel 2014. Difficile se non impossibile. Crimea di popolazione russa che torna all’Ucraina con le armi o attraverso un negoziato? Prima opzione con bomba atomica russa molto probabile, e la seconda nel futuro dei mai. Ed ecco spiegata la battaglia di Kherson, città decisiva per proteggere o colpire la penisola.
È probabile che Washington non diffonderebbe la voce di colloqui nucleari con Mosca se non pensasse di aver ricevuto qualche garanzia oltre Zelensky e senza Crimea. «Se fosse così, non sarebbe una cattiva notizia».