100 anni fa l’America, l’incendio di Rosewood e il razzismo mai morto

Un secolo fa, proprio in questi primi giorni del nuovo anno, la cittadina di Rosewood, nella parte nord-orientale dello stato della Florida, fu teatro di una serie di gravi atti di violenta persecuzione razziale, culminati con l’incendio della piccola cittadina, mai più ricostruita e letteralmente cancellata anche nel ricordo. Tuttavia non si trattò di uno dei consueti linciaggi collettivi o di una rivolta, ma qualcosa di più e di diverso.

La cronaca

La sera del 1° gennaio 1923 un vicino di casa della ventiduenne Fannie Taylor, insospettito per aver visto delle figure muoversi nella semi oscurità, accorse fuori casa armato di un revolver. Scoprì invece la donna che chiedeva aiuto e sosteneva di aver appena sventato il rapimento di uno dei figli da parte di un uomo di colore. Fannie Taylor non fu in grado di fornire particolari indicazioni sull’aggressore (a parte il colore della pelle), ma in breve si diffuse invece la notizia che una donna bianca era stata rapinata, aggredita e violentata. Poiché nelle stesse ore era fuggito da una colonia penale un detenuto di colore, lo sceriffo e i suoi aiutanti si lanciarono alla ricerca dell’evaso convinti si trattasse dell’aggressore.
Una squadra di volonterosi collaboratori dello sceriffo si recò allora da un fabbro delle vicinanze, l’afro-americano Sam Carter, che fu torturato fino a fargli ammettere di aver spezzato le catene dell’evaso e di averlo nascosto nel bosco. L’inseguimento del fuggitivo con i cani non produsse però risultati: uno dei vigilanti uccise con un colpo di arma da fuoco il fabbro e ne appese il corpo mutilato ad un albero.
Tra la folla che si era radunata, qualcuno disse allora che il fuggitivo aveva trovato rifugio a Rosewood, cittadina abitata in maggioranza da afro-americani, e cominciò così un’escalation di violenze che si sarebbe conclusa solo pochi giorni dopo con un rogo spaventoso.

Le violenze a sfondo razziale

Negli Stati del sud le violenze a sfondo razziale avevano raggiunto il picco alla fine del XIX secolo: le vittime non erano state esclusivamente afro-americani, ma, come nel caso di New Orleans – quando furono linciati numerosi immigrati italiani – erano state colpite anche altre minoranze. Il graduale miglioramento della situazione economica e la Prima guerra mondiale, avevano reso meno frequenti questi fatti, ma la situazione di fondo, cioè la mentalità di una rigida segregazione razziale o lo stato di isolamento di intere comunità di immigrati, non erano affatto cambiate. Per quanto riguarda questo caso specifico si erano sviluppate in parallelo due comunità: gli afro-americani a Rosewood e i bianchi a Sumner, più vicina alla costa dell’oceano Pacifico.
Le due cittadine godevano di un relativo benessere economico: a Sumner, dove vivevano i bianchi, prosperavano i commerci e a Rosewood, nonostante l’industria del legname fosse meno florida di un tempo, si estraeva la trementina o si praticava l’agricoltura con una certa soddisfazione. Rosewood, paragonata ai veri ghetti di disperati che sorgevano invece in Alabama o nel Mississipi, era una comunità modello: era ad esempio molto diffusa la cultura musicale con l’associazionismo che ne derivava, moltissimi abitanti possedevano un pianoforte o una pianola e curavano con passione il giardino e le case. Esisteva anche, oltre a numerose scuole e chiese, un’assai frequentata loggia massonica afro-americana, segno del desiderio della comunità di colore di comportarsi esattamente come si faceva nel resto degli Stati Uniti.

Dopo il rogo, il silenzio

Dopo uno stillicidio quotidiano di incendi di case e altre violenze contro afro-americani isolati – tra cui l’espulsione di intere famiglie da un’altra cittadina del circondario, colpevoli solo di essere di colore diverso – il 7 gennaio un gruppo di bianchi diede praticamente l’assalto finale a Rosewood incendiando sistematicamente case, scuole e chiese. Al contrario di quanto avvenne però in casi analoghi, la comunità di colore si difese reagendo alle aggressioni.
Come sempre il divario tra i dati ufficiali delle vittime e quello di altre fonti fu assai netto: da una decina di vittime in totale, come fu scritto in un rapporto della contea, si passa a circa duecento secondo i risultati di una ricerca della fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Di Rosewood però non rimase in piedi più nulla.
Peggio della distruzione di una comunità ritenuta un modello, fu forse il silenzio di più di mezzo secolo che calò su tutta la vicenda. Solo nel 1982 infatti, grazie all’inchiesta di un giornalista, si tornò a parlare di Rosewood, come ‘fatto storico’ e non più solo come ‘storia’ tratta dalla tradizione orale di una comunità segregata. Seguirono leggi statali della Florida prima approvate e poi modificate, risarcimenti concessi e infine negati, la scomparsa silenziosa degli ultimi sopravvissuti e perfino l’inserimento delle ultime tracce del massacro nella Florida Heritage, il patrimonio storico dello stato, con tanto di apposizione di targhe commemorative ufficiali.
Si capì un po’ tardi che il silenzio forse era stato peggio del rogo.

ROSEWOOD ANCORA OGGI

Rosewood si inquadra nella storia dolorosa del popolo afroamericano, nella sua oppressione, nell’ingiustizia eretta a sistema di governo. Una storia che giunge fino ai giorni nostri con le proteste e la rabbia che hanno fatto seguito all’uccisione di George Floyd e di altri afroamericani. Mai e in nessun luogo degli Stati Uniti la vita della gente di colore è stata facile, si pensi solo al fatto che anche oggi per ogni 10 dollari di ricchezza posseduti da una famiglia di bianchi, corrispondano solo 10 centesimi per una famiglia di afroamericani.

Negli Stati del Sud, negli anni successivi alla fine della guerra civile, che vide la vittoria del Nord, e l’abolizione della schiavitù, la popolazione bianca riprese gradatamente il predominio e grazie a tutta una serie di provvedimenti denominati leggi Jim Crow, -l’origine del nome è ancor oggi piuttosto oscura- ai neri americani furono negati i più elementari diritti civili, tra i quali la possibilità di eleggere e di essere eletti, il diritto a frequentare le stesse scuole, le stesse chiese,gli stessi locali dei bianchi, il diritto di sedersi dove meglio pareva loro su un autobus, perfino il diritto di avere accesso alle stesse toilette dei bianchi. E tutto questo fino ad anni 60 del secolo scorso inoltrati.

https://www.youtube.com/watch?v=o9M1YakOkEs&ab_channel=OranZBelgraveSr
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro