Perché l’America chiede a Israele di non reagire ma non è detto accada

L’amministrazione Biden prova a convincere l’alleato che il bilancio dell’attacco iraniano è positivo. Ma le valutazioni nel governo Netanyahu divergono. Di fatto Israele ha colpito l’Iran ma non ne ha pagato alcun prezzo. Anzi, ci ha pure guadagnato perché ha respinto la rappresaglia persiana e dimostrato di avere l’appoggio di paesi occidentali e arabi che lo preferiscono a Teheran nonostante la tragedia dei civili a Gaza.
Mentre la Repubblica Islamica ha fatto di tutto, pur di non rischiare di innescare un’escalation. «Avendo ottenuto un successo, una contro rappresaglia contro gli iraniani non è necessaria. E comunque l’America non vi parteciperebbe, dunque non la appoggia», la conclusione di Limes.

Lettura americana dei fatti

L’intenzione americana raccontata da Federico Petroni è chiara: «Israele ha ottenuto importanti successi e non deve alimentare l’escalation, bensì pensare attentamente e strategicamente alla prossima mossa». Salvo Netanyahu. Il problema è che da qualche giorno, sul confronto con l’Iran, il ‘gabinetto di guerra’, è fortemente diviso al suo interno. In particolare i suoi tre membri più importanti sono divisi da rivalità politiche, differenze ideologiche e avversioni personali: il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’esercito e capo dell’opposizione politica a Netanyahu.

Netanyahu ‘uber alles, ma non troppo

In questi mesi, Netanyahu ha cercato di assumersi da solo la direzione della guerra, mentre Gallant e Gantz hanno cercato di tagliare fuori Netanyahu da alcune delle decisioni militari. I rapporti tra i tre sono conflittuali da anni. Dopo il 7 ottobre, Gantz e altri membri del suo partito sono entrati a fare parte di un governo di unità nazionale, ma le divisioni politiche, ora che la popolarità di Netanyahu è crollata a causa degli errori dalla sua politica di sicurezza, sono aumentate e Gantz è diventato il politico che con ogni probabilità vincerebbe le elezioni se si tenessero domani.

Insomma, fra le tre persone che hanno il compito di gestire la guerra nella Striscia di Gaza e di decidere la risposta israeliana all’attacco dell’Iran «Ciascuno di loro ha obiettivi politici o militari propri, e in contrasto con quelli degli altri».

La notte tre il 13 e il 14 aprile

La posizione di Washington è dettata dall’ovvio interesse a non allargare ulteriormente la guerra in Medio Oriente. Per molte buone ragioni. Primo, il regime degli ayatollah si è dimostrato molto cauto. Ha sparato molto ma preannunciato chiaramente gli attacchi. Azzerato l’effetto sorpresa, con l’evidente intento di ridurre gli enormi danni che quegli attacchi avrebbero potuto causare. Due, le alleanze locali. Decisiva la partecipazione diretta dei paesi arabi alla difesa di Israele.

Prova di guerra ma senza esagerare

L’Iran aveva avvisato i propri vicini 72 ore prima i propri vicini delle tempistiche e delle modalità della rappresaglia per consentire loro di prendere contromisure, e misurare assieme loro reazione. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno passato le informazioni agli Stati Uniti che hanno dato il via alla rete  per organizzare la protezione dello Stato ebraico. Riyad e Abu Dhabi hanno fornito altra intelligence prima e dopo l’operazione. La Giordania ha persino abbattuto alcuni droni e missili iraniani. Hanno partecipato anche Regno Unito e Francia.

Rappresaglia sventata

La rappresaglia sventata conferma –valutazione Limes-, che, nonostante l’Arabia Saudita abbia un accordo formale con l’Iran e non con Israele (mediato dalla Cina), preferisce difendere quest’ultimo per evitare sia un allargamento della guerra sia un rafforzamento dell’immagine dei persiani a livello regionale. Forse non più nemici, ma senza esagerare. E Washington, certamente userà questo argomento per sconsigliare a Gerusalemme di attaccare l’Iran per evitare di compromettere la costruzione di allineamenti più saldi coi vicini.

La paura atomiche israeliane

Gerusalemme si accontenterà della cautela dell’Iran oppure dovrà fare qualcosa che torni a incutere negli avversari il timore di bersagliare ‘Eretz Yisrael’? Lettura israeliana, l’Iran si è avvicinato al territorio dello Stato ebraico e ora è anche disposto a colpirlo direttamente. «Oltre al fatto che Netanyahu si è costruito una carriera sulla rappresentazione degli ayatollah come nemico assoluto e potrebbe pagare un prezzo politico se non reagisce», insiste Federico Petroni, e grazie ancora a quella conta ancora di poter sopravvivere politicamente al disastro che ha combinato.

Dopo 7 ottobre, rischio politico ancora più alto

Agli americani dei destini politici di Netanyahu importa poco, anzi, ormai nessuno alla Casa Bianca nasconde di sperare che venga presto sostituito. Mentre ora il rischio di scatenare una grande guerra regionale è ancora più alto. Con quale ipotetico vantaggio per Israele?

I militari israeliani non sembrano propensi ad avallare il desiderio di Netanyahu di colpire l’Iran o comunque di rispondere con un gesto drammatico, dopo aver decisamente esagerato a Gaza, conto politici salatissimo che per la credibilità democratica dello Stati ebraico nel mondo.

 

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