Rivolta delle pensioni, la rivoluzione permanente della Francia

Il presidente francese vuole aumentare l’età pensionabile dal 2023. L’età minima per ricevere una pensione completa sarà gradualmente aumentata da 62 a 65 anni entro il 2031, riferisce il Corriere. Una proposta di riforma delle pensioni simile aveva provocato scioperi e manifestazioni a livello nazionale nel 2019, durante il primo mandato di Macron, ci ricorda Massimo Nava.
L’innalzamento dell’età pensionabile porterebbe un risparmio di 21 miliardi di euro per le casse dello Stato. Attualmente, la Francia paga 16 milioni di pensioni per un costo totale di 330 miliardi all’anno, circa il 14% del suo Pil. Una parte dei risparmi della riforma dovrebbero essere utilizzati per elevare la pensione minima a 1.100 euro mensili.

In pensione a 65 anni vuole Macron: salvo rivoluzione

Non sentiremo cantare la Marsigliese a Parigi, eppure nei prossimi giorni sentiremo parlare ancora una volta di «rivoluzione francese». Ma essendo i diritti fondamentali dell’uomo conquistati dal lontano 1789, essi si esercitano, come spesso avviene in Francia, difendendo nelle strade e nelle piazze, a colpi di cortei e scioperi, quelli in ambito sociale e lavorativo. La riprova? L’ennesima e assai probabile «rivoluzione» di popolo contro la riforma delle pensioni, sfida storica di tutti i presidenti dopo Mitterrand, e puntualmente perduta.

Il sistema di protezioni sociali

Non soltanto perché la piazza – ovvero partiti d’opposizione e sindacati – sono compatti contro l’Eliseo (a dimostrazione di quanto sia complicato l’esercizio del potere anche nei sistemi presidenziali o semi presidenziali che vorremmo importare), ma anche perché la maggioranza dei francesi, compresi i simpatizzanti di Emmanuel Macron, di questo genere di riforme non vuol sentir parlare. È la regola aurea (o la malattia francese, secondo molti osservatori) della vita politica e sociale transalpina: il sistema di protezioni sociali (pensioni, sussidi di disoccupazione, orario di lavoro, ferie) non si tocca, costi quel che costi.

Vivere più a lungo godendosela

E infatti i costi, in termini di debito pubblico e prelievo fiscale, sono altissimi e continuano a crescere, oltre alla perdita di competitività nei confronti di Paesi come la Germania che le riforme strutturali le hanno attuate da tempo. I francesi che, in maniera decisa e schiacciante, non vogliono lavorare fino a 65 anni, ovvero la soglia dell’età pensionistica proposta dal governo rispetto agli attuali 62. Soltanto il 22 per cento dei francesi è a favore della misura.

Quando Metterand fece il contrario

Per i sindacati l’aumento dell’età pensionabile è una linea rossa insuperabile. «Il naufragio delle pensioni – scrive il Figaro – è stato programmato nel 1982, quando François Mitterrand ha modificato il limite di età da 65 a 60 anni: quarant’anni dopo, non ci siamo ancora ripresi, e non è detto che sarà così anche quest’anno». Il clima «rivoluzionario» contro la riforma è peraltro intensificata da ondate di agitazioni previste o già programmate in vari settori, dai trasporti pubblici alla sanità. Ma i francesi, come nota il quotidiano conservatore, subiscono gli scioperi, incassano gli assegni distribuiti in nome del «whatever it takes» e si disinteressano al un gioco politico da cui non sembrano più aspettarsi nulla, né per sé né per il Paese.

Partita istituzionale presidenza-parlamento

Come nota Le Monde, tutto a priori lavora contro l’esecutivo, che ha contro l’opinione pubblica, i sindacati, le forze di sinistra, l’estrema destra di Marine Le Pen e parte della destra gollista. Emmanuel Macron ha fatto campagna elettorale sulla questione del pensionamento a 65 anni. Ma le elezioni legislative della primavera scorsa non gli hanno dato una maggioranza sufficiente per fare approvare in aula la riforma. «Intorno alla riforma si scontrano quindi due legittimità, una presidenziale e l’altra parlamentare», conclude Le Monde.

A Macron non serve più il consenso popolare

Tuttavia, Macron sembra deciso a giocare il tutto per tutto, contando sul fatto che non potrà correre per un terzo mandato. Meglio quindi tentare di lasciare una traccia nella storia. La riforma diventa allora un faro della sua politica: aumentare la forza lavoro per sostenere la crescita, contenere le tasse, ridurre la cronica disoccupazione di massa, garantire la sostenibilità del sistema per le prossime generazioni. Stando così le cose, la prossima rivoluzione ha un evidente impronta conservatrice, nel senso della conservazione del sistema che, appunto, vede sullo stesso fronte, oltre come ovvio i sindacati, anche l’estrema destra e l’estrema sinistra.

Tra problemi reali e demagogia

Il primo ministro Elisabeth Borne ha una strada tutta in salita. Senza maggioranza all’Assemblea, proverà a proporre correttivi e compromessi senza stravolgere l’impianto della riforma. Già si parla di attuarla gradualmente e in tempi lunghi, di aumenti delle pensioni minime, di trattamenti diversificati per alcune categorie di lavoratori. Una stampella al governo potrebbe offrirla la destra gollista che tuttavia è prigioniera di un dilemma. Storicamente, da Chirac a Sarkozy, ha sempre sostenuto la necessità della riforma, ma la base popolare del partito è contraria.

Populismi contro

Inoltre, deve considerare la concorrenza di Marine Le Pen, auto definitasi la protettrice dei più deboli. Nella disputa sulle pensioni, la sinistra di Jean Luc Melanchon si presenta come custode dell’eredità di François Mitterrand, che ridusse l’età pensionabile a 60 anni.

In questo clima prerivoluzionario, la sinistra riformista è scomparsa dai radar.

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