Come il petrolio russo arriva in Italia e persino in America beffando l’embargo

Il Cremlino riflesso su una vetrata del quartier generale della Rosneft. La sede della compagnia petrolifera statale russa sulla riva opposta del fiume Moscava. Decisamente vicina al vertice del potere politico russo. E Limes con maliziosa arguzia giornalistica, va a chiedere a Vittorio Amoretti, trader petrolifero, come sarebbe possibile far arrivare un barile di petrolio russo in Italia, in barba alle sanzioni.

Tre opzioni per farla in barba alle sanzioni

La prima è l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), che parte dall’Azerbaigian ed è gestito da Bp. L’Azerbaigian che oggi sta esportando più petrolio di quanto ne produca per di circa 242 mila barili al giorno, a fronte di una produzione nazionale in continua diminuzione. Come può un paese diminuire la propria produzione e incrementare l’export allo stesso tempo? Bp e Baku negano ogni addebito, rilevando che da inizio 2022 a oggi i flussi di petrolio in transito via Btc sono passati da tre a due milioni di tonnellate. «Ma qui sono i decimali che contano e i decimali su volumi importanti rappresentano quantità non trascurabili- non tornano», dichiara Amoretti ad un attento Fabrizio Maronta.

Ma il nostro barile predilige altre soluzioni

Innanzi tutto la Turchia, che ha raddoppiato le proprie importazioni di petrolio dalla Russia e, come noto, si rifiuta di applicare su questo greggio le sanzioni imposte dall’Occidente. Una nuova rotta verso l’Ue per il petrolio russo si sta dunque consolidando attraverso l’Anatolia, crescente destinazione del greggio russo che una volta giunto lì viene raffinato e rivenduto senza applicarvi sanzioni
Terza opzione, le petroliere che al largo delle coste europee trasbordano il petrolio russo su altri cargo, che poi fanno rotta verso i porti europei. Questo fenomeno si verifica in due località: il mare al largo di Ceuta (Spagna) e quello al largo della costa greca, vicino a Kalamata.

Sono almeno 52 le petroliere che hanno fatto trasbordi di petrolio dall’inizio del 2023. Greggio trasferito in Grecia con questo metodo a febbraio, impennata con 10 milioni di barili. A Ceuta, stesso periodo, circa 4,4 milioni.

Embargo petrolifero farsa?

«Non per chi a Washington l’ha concepito, e di certo un impatto sulla Russia lo sta avendo. Ma fatta la legge, trovato l’inganno». Mosca sta studiando sistemi di aggiramento con ‘navi fantasma’ che disconnettono i sistemi di localizzazione. Registra inoltre le petroliere in paradisi fiscali che offrono bandiere di copertura ed effettuano il trasbordo del greggio in navi più grandi, mischiandolo con un olio dalle caratteristiche simili. La legge prevede infatti che per essere considerato russo il petrolio debba provenire almeno per il 51% da aziende russe.

Con tale sistema, tra l’altro, gli Stati Uniti aggirano più o meno inavvertitamente (decisamente meno inavvertitamente Ndr) il loro stesso embargo.

Triangolazione Russia, Italia, Stati Uniti

Una triangolazione tra Russia, Italia e Stati Uniti per dribblare le sanzioni e continuare a esportare petrolio in America passa attraverso la raffineria Isab di Priolo, in Sicilia, di proprietà del gruppo russo Lukojl. Prima della guerra lo stabilimento riceveva petrolio da tutto il mondo. Ora la quota di greggio russo trasformato a Priolo è salita al 90%, il lavoro della raffineria non si è mai fermato e non si sono mai fermate nemmeno le petroliere che partono per gli Stati Uniti. Tecnicamente il regolamento sulle sanzioni non è stato violato, dato che verso gli Usa viaggia benzina prodotta in Italia, senza dover dichiarare da quale petrolio è stata raffinata.

Furberie non solo italiane

E gli altri europei? «Suvvia, è l’Ue ad aver aperto un’autostrada alla Russia per fare del ‘price cap’ un sistema inutile. Se un paese acquista greggio da Mosca e lo raffina, è poi libero di riesportare i prodotti a prezzi di mercato. Regola tra l’altro realistica: se compro diesel dalla Cina normalmente non mi arriva compreso di certificazione del greggio di origine. Ma così facendo si apre alla possibilità che alla luce del sole, usando navi greche e assicuratori londinesi, si possa vendere, ad esempio in India, greggio russo a 50 dollari al barile e riesportare il diesel a 120 dollari. Mettete il tutto nelle mani di un trader appena sveglio e l’accordo tra Russia e India o con altri paesi è scontato».
In alternativa lasciate fare direttamente ai russi visto che la raffineria di Nayara, nei pressi di Mumbai, è di fatto controllata dal gigante russo Rosneft e da poco partecipata da un’impresa italiana: Mareterra, che attraverso un fondo lussemburghese ha rilevato la partecipazione. Gli affari sono affari.

Il topo molto più veloce del gatto

L’embargo crea squilibrio ed espone l’importatore al mercato dell’offerta. Un mercato squilibrato tra domanda e offerta stimola però il riequilibrio. E un pezzo di riequilibrio verrà dall’Asia, anche – soprattutto? – in forma di prodotto da «greggio russo ribattezzato». Il percorso può essere accidentato e comunque costoso, però c’è ed è battuto.

Dal punto di vista finanziario, molti operatori russi del settore propongono contratti triangolando i pagamenti o i documenti finanziari attraverso fiduciarie localizzate in paesi non soggetti a sanzioni. È una gara tra gatto e topo, ma il topo è molto più veloce.

 

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro