
Le sirene antiaeree sono tornare a suonare nell’ambasciata degli Stati Uniti, ’Zona verde’ di Baghdad. Testimoni sul posto parlano di forti esplosioni nella zona dove si trovano edifici governativi e ambasciate straniere. Intanto, l’Iran ha chiuso le frontiere con l’Iraq. Il ministero della difesa e l’esercito attendono ordini dal premier uscente Mustafa Kazimi, che ha il ruolo di comandante supremo delle forze armate. Al Arabiya e Al Iraqiya hanno riferito di razzi e colpi di mortaio sparati contro la Zona verde. I miliziani avrebbero utilizzato armi pesanti, come appunto mortai, lanciarazzi, razzi Katyuscia e missili Grad.
«Annuncio il mio ritiro definitivo». Poche parole su Twitter di Moqtada al-Sadr a scatenare in violenza una tensione che covava da settimane. «Il religioso sciita, che ha cementato il proprio consenso durante l’insurrezione all’occupazione Usa del 2003 con il suo ‘Esercito del Madhi’ e optato poi per la via nazional-populista», ci ricorda Chiara Cruciati sul Manifesto. Dimissioni-provocazione dopo aver ha vinto le elezioni nell’ottobre 2021 (74 seggi su 329), ma senza riuscire a creare una alleanza di governo.
I disordini subito violenti, quando i sostenitori di ’Al Sairun’, ‘ il Movimento di Muqtada al Sadr, hanno assaltato un palazzo del governo. Gli scontri soprattutto nella Zona verde della capitale, l’area della città militarmente protetta e che ospita vari edifici diplomatici e del governo e dove si trova il palazzo preso d’assalto dai manifestanti. La violenza della rabbia popolare avrebbe costretto il personale dell’ambasciata olandese a rifugiarsi nella sede diplomatica tedesca. «Ora si teme che il paese possa precipitare nella guerra civile, con uno scontro aperto tra formazioni sciite rivali, nazionaliste e filo-iraniane», denuncia Pagine Esteri.
I media iracheni riferiscono che le forze di sicurezza sono impegnate a mantenere il controllo dei punti di accesso alla “Zona verde”, l’area interdetta del potere di Saddam, impiegando anche idranti e maniere forti per allontanare i manifestanti. Secondo i video mandati in onda dalle tv e diffusi sui social, i militanti sadristi sono riusciti a rimuovere parte dei blocchi di cemento sul perimetro del parlamento iracheno, che già avevano occupato a fine luglio. La tensione è molto alta e ora si teme che scendano in campo i sostenitori degli altri gruppi sciiti avversari di Al Sadr, che da tempo denunciano tentativi di colpo di stato.
Moqtada al Sadr, divenuto fautore di una presa di distanza dall’influenza iraniana e da quella americana sull’Iraq, oltre ad annunciare il suo ritiro dalla politica, chiaramente una mossa tattica per disorientare i suoi rivali e lanciare avvertimenti al premier uscente Mustafa Kadhimi -spiegano gli analisti-, ha anche ordinato la chiusura di tutte le istituzioni del proprio movimento ad eccezione dei luoghi religiosi ad esso legati. «Molte persone credono che la loro leadership sia stata conferita tramite un ordine, ma invece no, è innanzitutto per grazia del mio Signore», ha affermato Al Sadr volendo sottolineare il suo ruolo di leader religioso e non solo politico.
«Tutti sono liberi da me», aveva proclamato Al Sadr chiedendo ai suoi sostenitori di pregare per lui, «nel caso muoia o venga ucciso». Dimissioni dalla politica e martirio quasi invocato le armi della pericolosa fase politica irachena. Poco prima Nassar al Rubaie, segretario generale del blocco sadrista, aveva invano chiesto al presidente della repubblica, Barham Salih, e al presidente della camera dei rappresentanti, Mohamed Halbousi, di deliberare lo scioglimento del Parlamento e di fissare una data per lo svolgimento di elezioni anticipate.
Al Sadr sostiene la volontà di riavvicinare alla popolazione irachena le forze politiche sciite ma poi rompe sui compromessi delle alleanze. Col il gruppo parlamentare più numeroso alle elezioni di ottobre, in dieci mesi non è riuscito a mettere insieme una maggioranza per formare un governo. Un fallimento dovuto al rifiuto dello stesso Al Sadr di allearsi con i partiti sciiti filo-iraniani, in particolare con l’ex premier Nouri al Maliki. Personalismi in campo.
La possibilità di un nuovo governo senza la formazione di al Sadr è alla base delle sommosse in corso che rischiano di sfuggire di mano ai loro stessi promotori, diventando vera e propria guerra civile.
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